Abbiati e Robinho restano a casa, in compagnia di Ambrosini, squalificato, di Traorè (bocciatissimo) e del giovane scapestrato Niang (altra balotellata con l'under 21 francese, «ci penserà la federcalcio francese a punirlo» la chiosa ufficiale) e uno si chiede: a che santo deve votarsi Allegri contro la Lazio mai piegata in campionato? La risposta è nel faccione disteso del livornese e nella battuta sotto voce (meglio raccomandarsi a padre Pio!) raccolta in sala conferenza prima di volare verso Roma. L'assedio alla sua panchina è un giochino ormai scontato nel quale si esercitano cronisti e tifosi, non invece Galliani, per fortuna del Milan, e neanche i più celebri colleghi, tipo Fabio Capello e Arsene Wenger («sono i calciatori che devono risolvere i problemi») che mettono al riparo il livornese e non certo per uno spirito di solidarietà professionale. «Gli interventi di Wenger e di Galliani fanno piacere, in società sanno che con i giovani serve pazienza» è il motivetto ripetuto dall'interessato che non ha la bacchetta magica ma continua a segnalare progressi, a dispetto dei risultati.
In questo panorama di incertezza continua, il Milan e Allegri sperano di ripartire dalla P2 che questa volta si declina, senza altre allusioni, al deficit più marcato della stagione, la mancanza di gol. E infatti la prima scelta, correzione vistosa rispetto al derby, è Pazzini impiegato come prima punta al posto dell'acerbo e insufficiente Bojan, rimesso al suo posto al culmine di un tormentato periodo. I suoi 3 gol di Bologna sembrarono l'inizio di una vendemmia felicissima e invece niente: tutto fermo lì, a quella serata dalla mira perfetta. Mai visto nelle due settimane di Nazionale, ma quella convocazione può avere l'effetto di ricaricare le pile a un centravanti che non darà Ibrahimovic ma di sicuro merita maggiore fiducia rispetto alla mosca tse-tse proveniente dalla Roma. Dietro Pazzini, comincia a scaldarsi Pato, finalmente rientrato nel giro, finalmente restituito a una salute promettente, giudicato da Allegri così: «sta bene fisicamente e mentalmente». Naturalmente non può ancora forzare, non può ancora sgabbiare dall'inizio, non può ancora scattare come ai primi bei tempi, eppure deve scrollarsi di dosso quella maledizione che lo perseguita da oltre un anno. «Non nel mio primo anno a Milanello, ha segnato 15 gol e giocato da gennaio a maggio senza sosta» la precisazione di Allegri che sa di exusatio non petita. Pazzini che parte e Pato che chiude possono portare il Milan e lo stesso Allegri lontano dalle sabbie mobili di una classifica deprimente e che lo obbliga ad affrontare la Lazio sotto di 8 punti, dal basso in alto. «Entro Natale dovremo risalire la china» è l'obiettivo di massima. Ma si sa le parole qui contano pochissimo, specie si considera che proprio nelle prossime tappe il calendario del Milan diventa una di quelle salite arditissime da scalare.
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