C'è mezza Nazionale che moltiplica i rimpianti e i rimorsi del Milan di ieri e di oggi. L'ultimo della lista è Gigio Donnarumma, entrato ieri ufficialmente nel mondo del Psg con le visite mediche effettuate a Roma, scortato da Gianluca Vialli, durate 6 ore addirittura e che segnano la perdita dell'innocenza e l'inizio dell'autentica avventura professionale. Sarà straniero a Parigi e non ragazzo di bottega a Milanello. Il portiere, fischiato all'Olimpico perché riconosciuto esponente di una generazione senza patria, è ancora rinchiuso nel suo silenzio assordante e imbarazzato dopo le parole dolci di Paolo Maldini e quelle asciutte di Scaroni («ciascuno fa quello che vuole, noi abbiamo tetto agli stipendi», ha detto alla Politica nel pallone su Gr Parlamento) mentre sui social i tifosi inviperiti chiedono di togliere dagli account suo e di Calhanoglu le foto con le maglie rossonere e raccomandano di dare la numero 10 con la massima cautela la prossima volta. Già, il secondo della lista è proprio il turco che ieri, dopo quel po' po' di europeo fatto - eliminato al primo turno, tre scialbe prestazioni - ha dato via tv la notizia dell'imminente viaggio di ritorno a Milano per passare all'Inter e coprire così la casella lasciata vuota da Eriksen. Sembra strano ma sia nel primo che nel secondo caso, al netto degli sfottò delle tifoserie rivali, non c'è nessuna rivolta, specie tra i tifosi d'antan, sensibili alla fedeltà ormai sparita.
Piuttosto i rimpianti e qualche rimorso fondato si può scovare tra le pieghe della Nazionale che brilla anche nella terza esibizione romana con quel tocco, tra piede e stinco, di Matteo Pessina, monzese, ragazzo senza tatuaggi, iscritto a economia, col contratto fino al 2024 con l'Atalanta e uscito dalla scuola delle giovanili del Milan, scuola di vita e di calcio doc (una volta). Adesso c'è un solo vincolo che lo lega all'ex casa madre: la percentuale sulla rivendita che sarà ridotta al raggiungimento delle 100 presenze e pagamento di un bonus da 3 milioni. Fu questa una delle operazioni della famosa coppia Fassone-Mirabelli (inserito nella trattativa per l'affare Conti) mentre Locatelli è una genialata di Leonardo col contributo di Gattuso che lo mise da parte e gli preferì Bakayoko. Se si aggiungono gli ultimi due azzurri che hanno intrecciato la loro vita con quella di Milanello, Cristante (spedito al Benfica per 5 milioni) e Acerbi (ripartito per Sassuolo), il quadro è assolutamente completo e fa venire alla mente il famoso motto, molto saggio, di Silvano Ramaccioni, team manager storico del Milan di Silvio Berlusconi. «Si può sbagliare a comprare un giocatore, non si può sbagliare a venderlo» così chiosò all'epoca la cessione di Davids alla Juve, bollato come la mela marcia da Costacurta.
È vero: questo è un altro Milan, guidato da Gazidis che vuol dire Elliott dove i conti devono tornare dopo alcune stagioni di gravi perdite di bilancio.
Poiché coincide con il ritorno, dopo una vita, in Champions League, tutto dipenderà poi dalle sostituzioni realizzate in corso d'opera. Se produrranno qualche soddisfazione, si passerà all'incasso del credito, altrimenti il dito puntato su tutti, azionista e area tecnica, più allenatore, è garantito.
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