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Il Milan nel nome di Ibra. La città del tricolore rossonera come il Duomo

L'invasione di Reggio Emilia: da Paul Singer a Salvini per la promessa mantenuta da Zlatan

Il Milan nel nome di Ibra. La città del tricolore rossonera come il Duomo

Reggio, la città del tricolore. La scritta campeggia sotto il marchio del Mapei Stadium. Alla gente rossonera sembra il segno del destino in uno stadio tutto rossonero, mentre i 2.100 abbonati del Sassuolo sono relegati in un angolino a casa loro, come se fossero a San Siro dove li confinano al terzo anello. Diciottomila milanisti (compreso l'immancabile Matteo Salvini) dentro il Mapei, ma tanti anche fuori, senza biglietto, controllati a fatica dalla polizia. In tribuna è schierata la solita nomenklatura milanista: Massara, Maldini, Gazidis, Gordon Singer, per la prima volta persino papà Paul, il vero padrone del club, un signore che dalle nostre parti non si era mai visto e che evidentemente non deve fare i conti con la scaramanzia.

La festa inseguita da undici anni comincia così (proseguirà oggi con l'appuntamento a Casa Milan e poi con il giro d'onore per le vie della città fino a piazza Duomo), l'attesa cresce ma tutta la sfida è un crescendo. Primo gol di Giroud, primo boato, qualche signora piange di gioia. Raddoppio di Giroud, standing ovation, piangono anche gli uomini. La pressione cresce, l'Inter è inchiodata sullo 0-0, la gente freme. Segna Kessie, fa il saluto militare, un omaggio alla curva perché sa che è la sua ultima volta. E la curva lo perdona perché lo scudetto cancella tutto, non si spreca nemmeno un coro contro il solito Calhanoglu.

Nell'intervallo è già 3-0 e tanto potrebbe bastare per far partire le feste. Piazza Duomo a Milano è già imbandierata di rossonero, ma i più scaramantici ricordano un altro 3-0 a metà partita finito in catastrofe. Se non fosse che dall'altra parte quella volta c'era il Liverpool, non il Sassuolo, e che questa volta persino l'improbabile 3-3 sarebbe un trionfo.

Ma questa squadra non è a fine corsa, anzi. Potrebbe aver solo cominciato. A metà ripresa c'è la sosta per rinfrescarsi. La gente rossonera, più che l'acqua, sarebbe pronta per lo champagne. E quando si alza Ibra scatta il boato: sembra di tornare a quel gennaio di due anni fa quando lo svedese si preparò per entrare all'inizio della ripresa di Milan-Samp. Era appena tornato a Milano e aveva idee strane. Disse che era lì per vincere lo scudetto e venne circondato di sorrisini. A Reggio invece si ride di entusiasmo, soprattutto quando segna un gran gol di testa, ma un guardalinee spietato glielo cancella.

Non importa, oggi si perdona tutto. All'82' finalmente ci crede anche Stefano Pioli che imita Ibra, in piedi davanti alla panchina. Il mister dell'impossibile può sciogliere la tensione. Guarda in tribuna, saluta, alza le mani in segno di trionfo: è il segnale che la festa può partire. La gente si scatena, undici anni senza tricolore sono tanti per tutti, figuriamoci per tanti ragazzini che non avevano mai visto uno scudetto rossonero.

Al 92' Doveri fischia e scatta l'invasione di campo. Chi lo ferma più il popolo rossonero? L'annuncio all'altoparlante fa tenerezza: «Siete pregati di stare seduti al posto assegnato...». Ci vorrebbe un Rivera, come nello scudetto del '79, quando riuscì a far uscire la gente dal secondo anello pericolante per iniziare la sfida decisiva col Bologna. Alla fine però il miracolo si avvera anche qui: le tribune si ricompongono, il prato si svuota, si possono premiare i campioni.

Si parte dal numero 1 Tatarusanu che parò un rigore-scudetto nel derby di andata, si finisce con il capitano Romagnoli, che negli ultimi tempi era stato quasi dimenticato. In mezzo il terzo Maldini con lo scudetto, Daniel, il balletto di Kessie e Ibra che sale sul palco fumando un sigaro. Magari pensando a tanti sorrisetti...

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