Un recupero miracoloso dopo essere rimasto per 78 interminabili minuti in uno stato di morte clinica. Una ripresa altrettanto incredbile se è vero - come appare dal monitoraggio delle ultime ore che Fabrice Muamba è destinato a convivere con gravi danni cerebrali. Quattro giorni dopo l'arresto cardiaco che poteva avergli stroncato la giovane vita, il centrocampista del Bolton ha dunque vinto la partita più difficile. Resta ricoverato nel reparto di terapia intensiva del London Chest Hospital (nord di Londra), e i medici si rifiutano almeno per il momento - di sciogliere la prognosi. Ma adesso le domande sono proiettate al domani, sulla qualità della sua vita, se potrà riprendere a giocare.
Dalla cupa disperazione delle prime ore per un epilogo inevitabile nella sua drammaticità, ora regna un cauto ottimismo. Il peggio è passato, il calciatore del Bolton non sarebbe più in pericolo di vita. Il condizionale resta d'obbligo, considerata la gravita del malore che lo ha colpito sabato scorso durante la partita di coppa d'Inghilterra contro il Tottenham. Un arresto cardiaco, scatenatosi al minuto 41 del primo tempo. Sono le 18:13 quando Fabrice perde conoscenza, non respira, il suo cuore smette di battere. La disperata corsa dei sanitari in campo. Dalle tribune si precipita anche il cardiologo Andrew Deaner, tifoso degli spurs che capise subito lurgenza del soccorso. I medici provano a rianimarlo prima con la respirazione bocca a bocca. Inutile. Quindi con il defibrillatore. Più volte. In campo, nel tunnel verso gli spogliatoi, sullambulanza che lo trasporta in ospedale. Tutto vano. Nel frattempo volano i minuti. Lunghi attimi carichi di disperazione. «Sono trascorsi 48 minuti dal collasso in campo all'arrivo in ospedale - il ricordo di Jonathan Tobin, medico del Bolton -. E altri 30' prima che il suo cuore riprendesse a battere. Era a tutti gli effetti in uno stato prolungato di morte clinica. Dopo aver cercato di rianimarlo con ben 15 scosse del defibrillatore temevamo tutti il peggio. Non avremmo mai potuto pensare ad un recupero come quello che stiamo registrando in questi giorni. E' qualcosa di incredibile».
Perché - come spiega lo stesso Tobin - di solito bastano due o tre impulsi per riattivare il sistema cardiovascolare andato in corto circuito: «E tutti sappiamo che più tempo si impiega per rianimare un paziente e meno possibilità restano di sopravvivenza». Alle 19.31 il primo battito della nuova vita di Muamba. Da "miracolato", secondo Deaner. Nell'euforia del risveglio, non ci sono altre parole. La prima notte trascorre sedato, attaccato alle macchine per la respirazione. Ma già domenica riprende a muovere braccia e gambe. Quindi il risveglio, le prime parole, la domanda al padre: «Abbiamo perso?».
Una situazione decisamente incredibile, difficilissima da spiegare, anche per chi è ai massimi livelli di competenza nel settore, come il professor Francesco Furlanello, cardiologo, consulente del Policlinico San Donato e consulente del Coni: «La causa dell'arresto è dovuta ad una fibrillazione ventricolare che porta immediatamente al blocco della pompa cardiaca e successivamente alla morte del soggetto se non tempestivamente defibrillato e rianimato. La gravità dei postumi cerebrali è inversamente proporzionale ai minuti che passano prima dell'intervento di defibrillazione: dopo 6-8 minuti i danni cerebrali sono spesso irreversibili. La nostra esperienza iniziata nel 1974 e tuttora in progress è relativa a circa 95 casi di arresto cardiaco (su 3.500 atleti studiati) con età inferiore a 35 anni circa, 31 con morte improvvisa e 64 "resuscitati" e viventi. E in tutti i casi lo studio conferma costantemente la precedente presenza di una patologia cardiaca latente, sovente non riconosciuta o non tenuta in considerazione.
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