Quanto pesasse, e quanto contasse, la sfida con il Milan lo ha svelato Messi quando si è tolto il piombo dallo stomaco, ritrovando un guizzo autentico di felicità: «Ci voleva una partita così, è stata una grande partita». Molto più onesto mister Pallone d'oro rispetto a tutti gli sviolinatori in servizio permanente pronti a dire: visto? Il Barça non era in crisi... Adesso cosa ci verranno a raccontare.... In Italia, poi, siamo maestri del salto sul carro dei vincitori e della banalità a qualunque prezzo. Povero Barcellona, se dovesse davvero misurare l'autenticità della grandezza attuale, dal successo contro il Milan avrebbe da mettersi le mani nei capelli. Ma le avete viste le squadre italiane in Europa? Hanno raccolto gol e sberleffi, tranne Juve e in parte Lazio.
Il mondo si è nuovamente inchinato alla Pulce, incoronato Papa e santo, divino e marziano. Eppure in questo inchino si infila l'unica domanda che ancora non ha risposta: conta più Messi o il Barcellona? È più forte l'uno o l'altra. Ovvietà replicherà: fanno squadra, è forte l'uno perché è forte l'altra e viceversa. Messi non ha vinto mai il mondiale con la nazionale, la Spagna vince grazie al cuore di squadra del Barcellona.
Ma l'incoronazione universale del campione toglie qualcosa proprio alla squadra. Nel mondo scrivono: «Il Barcellona non fa miracoli, ha Messi». Sintesi e conclusione. Quest'anno il Barça ha mostrato, e dimostrato, qualche segno di fatica, usura, si è un po' rimpicciolito al cospetto del suo passato. Ci sta nella logica dello scorrere del tempo e dell'evolversi del calcio. Il Barcellona, per primo, ha capito che già ai tempi di Guardiola il resto del mondo studiava le contromosse per fermarlo. E qualcuno c'è pure riuscito.
Quest'anno, assente Guardiola, eppoi Tito Vilanova, la convinzione di poterlo fermare e frenare è aumentata: lo hanno detto i risultati. In Champions due sconfitte con squadre non proprio esaltanti (Celtic e Milan), un pareggio casalingo (0-0) con il Benfica. In Spagna due sconfitte di fila subite da un Real non proprio esaltante nella Liga. Sono segnali. La partita d'andata con il Milan fu probabilmente un brutto film e poco più. Ma come dimenticarlo? Messi che, a paragone di carriera e d'età, fece peggio di Niang. Squadra lenta, Xavi e Iniesta in difficoltà ad accelerare il gioco, difesa non proprio ermetica come è capitato spesso negli ultimi due mesi. Messi senza gol, Barcellona senza sbocchi. Invece al Camp Nou, Messi con il grimaldello in mano, il talento zampillante e Barça nuovamente forte, regale, bello. Sulla diversità tra divertimento e monotonia si potrebbe discutere. E, allora, che dire? Più forte Messi o più forte il Barcellona? Nel dopo Guardiola, la squadra ha cambiato due-tre volte l'assetto tattico, il modo di disporsi in campo, ha sbagliato tutto contro il Milan all'andata, ha studiato la materia e riproposto un assetto diversificato, riassunto in una sorta di 3-3-4, che l'aveva rilanciato altre volte. Con una sola differenza: accanto a Messi un attaccante vero (Villa) e non un centravanti finto (Fabregas). Pedro spostato da destra (fascia a lui gradita) a sinistra per costringerlo a mantenere più attenzione nel gioco. Insomma stavolta, come in altre occasioni nelle ultime stagioni, il Barcellona ha dovuto modificare qualcosa, verificare, ideare. E ci sono voluti i gol di Messi per uscirne vincitore.
Quest'anno, in Champions, la Pulce ha segnato 7 reti in 8 partite. Negli ultimi quattro anni, grazie alle sue reti nelle sfide di ritorno degli ottavi, il Barcellona ha fatto la differenza: rimontando l'Arsenal (andata 2-1), scardinando i pareggi con Lione e Stoccarda, alluvionando il Bayer Leverkusen l'anno passato (7-1, 5 reti di Leo).
Forse non è un caso che, nelle fasi fuor di eliminatorie, Messi abbia segnato 30 gol: quanto nessuno finora. Cristiano Ronaldo è fermo a 24.
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