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Moray, il Rocky galeotto che ha commosso il mondo

Conquistata in carcere la corona welter sudamericana Mai un detenuto aveva vinto un titolo internazionale

Moray, il Rocky galeotto che ha commosso il mondo

C'era gente di ogni tipo quel venerdì sera ad Asunción. Facce stanche, facce in lotta con la vita, facce poco raccomandabili. La maggior parte del pubblico era arrivata in anticipo per l'incontro. Alcuni erano lì da mesi, molti, la gran parte, attendevano da anni. In fondo che altro avevano da fare? Richard, il loro beniamino, si stava preparando a pochi metri dal ring e intanto si estraniava da tutto nascondendosi nel suono delle cuffie. Sul suo viso nemmeno un sorriso. La tensione era scolpita nelle rughe e gli zigomi grandi. La posta in palio troppo alta. Si dice che solo chi abbia conosciuto profondamente la miseria sia in grado di trovare le giuste motivazioni per superare le prove più difficili. Ebbene, il detenuto Richard Moray, quella sera nel carcere di Asunción, davanti al suo pubblico, ai suoi compagni, sapeva di giocarsi molto, tutto, un'altra esistenza.

Ce l'ha fatta, Richard. Ha vinto. È diventato campione del sudamerica ed è cominciata così, dopo aver toccato il fondo, la nuova vita di questo 31enne paraguaiano. Quella precedente, contrassegnata da spaccio e droga, crimini e violenze, meglio rimuoverla per sempre. Richard La Pantera Moray è infatti rinchiuso nell'unità penitenziaria «Industrial Esperanza» di Tacumbú, quartiere di Asunción, la capitale del Paraguay, dove sta finendo di scontare una pena di sette anni per furto aggravato. Qui, in carcere, su un ring allestito per l'occasione, davanti a centocinquanta persone, perlopiù dei detenuti, dopo aver già conquistato il titolo nazionale della categoria superwelter (63,5 kg.-66,6 kg.) si è impossessato della cintura di campione sudamericano a spese del brasiliano Carlos Caolho Santos. Salito sul quadrato con dei pantaloncini rossi, gli è bastato un round e poco più di due minuti - per mettere al tappeto l'avversario. Tra un «vamos Pantera» e un «usa il gancio», queste le urla di incoraggiamento dei compagni di cella da dietro le sbarre, Moray ha liquidato lo sfidante in quello che è stato il primo incontro di boxe a livello internazionale in un penitenziario.

«Avevo dei dubbi sul fatto che potesse farcela. E invece mi ha stupito», ha detto a caldo l'allenatore Fabio Potrillo Romero, artefice del rientro agonistico di Richard che da quattro anni si batte per dare una seconda possibilità ai reclusi del penitenziario di Tacumbú. Lo sport, d'altronde, può essere la via di fuga dalla criminalità e dalla tossicodipendenza. E dal carcere. Il ministero della Giustizia gli ha infatti concesso la libertà condizionale «perché si è riabilitato grazie allo sport». Dovrà insegnare boxe ad altri detenuti. «A tutte le persone che si trovano nella mia stessa situazione ha raccontato Moray -, dico che sì, è possibile redimersi. Se ce l'ho fatta io, perché non può farcela un altro?». Cadere e risorgere, si sa, fa parte della storia dei campioni del ring. E anche questa storia non è da meno, tanto che Netflix si è già accaparrata i diritti.

La Pantera, in fin dei conti, non ha combattuto invano.

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