Da quando è ct della nazionale ce l'ha scarico: il cellulare. Questa è la prima e più visibile risposta alla domanda di rito: Davide, come è cambiata la tua vita dopo la nomina a ct della nazionale italiana di ciclismo?
Davide Cassani, 53 anni, romagnolo di Faenza, un ottimo passato da corridore e una buonissima e brillante parentesi - durata 18 anni - come commentatore di cose ciclistiche per le reti Rai, non ha dubbi. «Prima di quel giorno avevo il mio cellulare perennemente muto perché non suonava, ora è muto perché è perennemente scarico. Da quando sono ct tutti mi vogliono, tutti mi cercano. In una sola settimana i miei seguaci su twitter sono aumentati di oltre mille unità».
È semplicemente felice, Davide Cassani. Dopo aver vestito in carriera nove maglie azzurre da titolare e una come riserva, ora va a sedere sull'ammiraglia di una delle nazionali più forti del mondo, che tutti chiamano semplicemente Squadra, con la "s" rigorosamente in maiuscolo, in segno di rispetto.
«Da bambino il mio sogno era di fare il corridore, partecipare un giorno al Giro d'Italia e al campionato del mondo. E adesso ho l'onore di guidare la nazionale. Papà Vittorio, che oggi non c'è più, ne sarebbe stato orgoglioso, proprio come nell'83, quando vestii la mia prima maglia azzurra da dilettante e lui - che faceva il camionista - come "nikname" del suo CB scelse "Davide azzurro"».
Viene dalla scuola di Alfredo Martini: Davide cosa ha in comune con il magnifico rettore, che in oltre 20 anni (dal 1975 al '97) ha portato alla causa della Nazionale 6 medaglie d'oro, 7 argenti e 7 bronzi? Un record assoluto.
«Come Alfredo spero di avere il buon senso, sicuramente la passione. Lui è il mio punto di riferimento, però è anche inavvicinabile. Alfredo è unico».
Il primo ricordo azzurro.
«Imola'68: quel volo di Vittorio Adorni ce l'ho ancora negli occhi e nel cuore. Fu davvero una giornata magica».
Quale sarà il suo punto di partenza?
«I giovani senza buttare via i vecchi. L'esperienza conta».
Cosa si prova a trovarsi dall'oggi al domani catapultato in questa nuova avventura?
«È vero fino ad un certo punto che questo traguardo io l'ho raggiunto dall'oggi al domani. Io a questo ruolo ci ho sempre pensato, anche quando purtroppo venne a mancare Franco (Ballerini, ndr), ma io in quel momento non mi sentivo ancora pronto. Sono cose che devi sentire dentro di te: nel cuore ma anche nella pancia. A Firenze, invece, sentivo davvero che quello sarebbe potuto essere il mio prossimo traguardo. Ne parlai con grande onestà anche con Paolo Bettini. Avevo letto che Paolo non si sentiva più a suo agio, che stava maturando qualcosa. Io alla sera, dopo la vittoria di Rui Costa gli dissi: "Paolo, sappi che se tu decidessi di dare l'addio alla Nazionale, a me questo ruolo interessa parecchio". La stessa cosa l'avevo espressa al presidente federale Renato Di Rocco».
Pensa all'azzurro e la mente dove corre?...
«A papà Vittorio. L'ho perso quattro anni fa, e non c'è notte che io mi corichi a letto e non pensi a lui. Il primo incontro con Di Rocco il 4 gennaio: quel giorno papà Vittorio avrebbe compiuto gli anni: vorrà dire qualcosa
».
A proposito di futuro, quali saranno i suoi prossimi passi?
«Farò presto un raduno, con vecchi e giovani: è importante prendere contatto. Ci sarà anche Paolo Bettini, con il quale mi sono confrontato. Poi andrò a visionare il circuito del prossimo mondiale a Ponferrada, in Spagna».
A parte Nibali, pensa di avere un buon materiale umano per le mani?
«Molto buono, su questo ne sono realmente convinto. Io credo ciecamente in ragazzi come Diego Ulissi, Moreno Moser, Matteo Trentin, Enrico Battaglin, Elia Viviani, Fabio Aru, Diego Rosa, Fabio Felline e via elencando: sono tutti giovani molto interessanti».
Davide, sarà un ct in bicicletta?
«Anche. Io cinque volte a settimana corro a piedi o vado in bicicletta. Lo sport e l'attività motoria sono la mia vita.
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