Il "mostro" Manfred cercava solo la toilette

I 50 anni della lattina maledetta. Borussia-Inter, Boninsegna colpito alla testa da una bibita e il povero ragazzo che si era alzato per andare in bagno

Il "mostro" Manfred cercava solo la toilette

Manfred è un ragazzo di 29 anni come tanti anche se ne dimostra il doppio dell'età che ha. Fa l'operaio specializzato, manovra carrelli elevatori a Bruggen, quattromila abitanti a una ventina di chilometri da Mönchengladbach, e il tifo per il Borussia di Netzer, Vogts, Bonhoff, Heynckes, una delle squadre più forti del mondo, la colonna portante, con il Bayern di Muller e Beckenbauer, della Germania che fra tre anni sarà campione del mondo, anche se l'Inter la prende sottogamba e lo considera un sorteggio fortunato. Non sa che sarà lui il grande protagonista della partita. Entra al Bökelbergstadion per vedere la semifinale con l'Inter, con il suo impermeabile scuro sul maglioncino dolcevita, esce sottobraccio a due poliziotti, consegnato per sempre alla Storia come il mostro di Dusseldorf, come l'hooligan che ha ucciso i sogni del Borussia di vincere la Coppa dei Campioni mai conquistata. Per colpa di una lattina volata in campo sulla testa sbagliata: «Mi voltai di scatto: un giovane, biondo e atticciato, cercava di sgattaiolare dal suo posto di tribuna, ma fu subito afferrato da un paio di poliziotti che lo trascinarono via senza complimenti» raccontò Alfeo Biagi su Stadio. Quel giovane biondo e atticciato era Manfred Kirstein, ma si era alzato per andare in bagno. E si ritrovò in gattabuia per sbaglio come un Fantozzi alla riscossa.

Tutto succede il 20 ottobre del 1971, mezzo secolo fa giusto, al minuto numero ventotto di Borussia-Inter, semifinale di andata di Coppa dei Campioni, fin lì 2-1 per i tedeschi. La serata è umida, piove e fa freddino. Boninsegna, che ha segnato il pari, si avvicina alla linea di fondo per battere una rimessa laterale e stramazza per terra, colpito da non si sa che cosa. C'è una lattina vicino a lui, qualcuno la raccoglie, passa di mano in mano poi sparisce. Mazzola se ne accorge: «Stavo cercando di capire dove fosse finita quando mi volto e vedo un tifoso italiano che sta bevendo una Coca Cola a pochi metri da me. Me la faccio dare, la svuoto un po' e la consegno al direttore di gara: ecco cosa ha colpito il mio compagno, faccio. Lui la gira e fa ok con la testa». Bonimba esce in barella, i tifosi tedeschi lo fischiano perché pensano che faccia finta, il Borussia dilaga, la partita finisce 7-1, un risultato irrimontabile al ritorno, l'Inter però si aspetta lo 0-2 a tavolino per questo, dicono, hanno mollato gli ormeggi. Ma non è così: per i regolamenti il Borussia rischia la squalifica ma non la sconfitta in automatico. Peppino Prisco studia il ricorso fino all'ultimo cavillo, la sua arringa davanti alla Disciplinare di Ginevra è come un contropiede di Ronaldo il Fenomeno. L'Uefa fa ripetere la partita: l'Inter vince 4-2 a Milano, il ritorno finisce 0-0, Bordon giovanissimo para un rigore a Sieloff. In finale con l'Ajax vanno i nerazzurri. Ma a decidere la partita è stato Peppino Prisco.

E Manfred? Lo hanno ricoverato all'ospedale di Kaldenkirchen per un'ulcera allo stomaco. Ha paura ad uscire di casa. Travolto da una storia più grande di lui, stritolato dai meccanismi di un ingranaggio mediatico senza pietà, famoso suo malgrado in tutto il Paese, e perseguitato da centinaia di telefonate anonime, ha persino comprato un cane lupo per andare in giro, quelle poche volte che lo fa. Ma non è il suo solo problema: il Borussia vuole chiedergli il risarcimento danni, compreso il mancato incasso della partita successiva, più o meno un milione di marchi (180 milioni delle vecchie lire). E in famiglia non va meglio: il papà muore, c'è chi dice di crepacuore, la moglie Ursula viene inseguita per strada dai teppisti quando fa shopping, la figlia di otto anni viene addirittura picchiata a scuola dai compagni di classe. Dice: «Non metterò mai più piede in uno stadio di calcio, la mia passione, dopo questa terribile avventura, finisce qui». Quattro testimoni dicono che è stato lui ma non è vero.

Dopo 50 anni Borussia-Inter è ancora la partita delle leggende e dei complotti: Helmut Bähren, uno dei tifosi che stava al posto giusto nel momento sbagliato, dice, 40 anni dopo sul Rheinische Post, che non è stato Manfred il tiratore: «A lanciare la lattina è stato un italiano» l'avesse detto prima avrebbe risparmiato a Manfred una via crucis durata anni, ma tant' è. Lo assolve anche un rapporto della Polizia: «Sulla base di numerose testimonianze si deve presumere che la lattina sia stata lanciata da un gruppo di tifosi italiani». Non era Boninsegna il bersaglio ma Muller accanto a lui: avrebbero dunque sbagliato mira e centrato l'amico invece del nemico. Chi è stato non si è mai saputo. Perché Manfred viene assolto anche dal tribunale con formula piena. Forse scambiato per un italiano, di certo scambiato per il colpevole nella serata degli scambi di persona. Corso a quattro dalla fine dà un calcio all'arbitro: espulso e squalificato per 14 mesi. Dirà: «Non sono stato io, ma Ghio» che comunque smentirà.

Oggi, la lattina dello scandalo è esposta al Museo del Borussia, come fosse la coppa sognata e mai più conquistata, il Borussia si sente da sempre vittima di una furbata, l'Inter da sempre il giustiziere di una notte.

Per quarant' anni il barattolo di Coca Cola è stato conservato nel Museo olandese del Vitesse, donata dall'arbitro di quella partita, Jef Dorpmans, scomparso sette anni fa. Dicono sia, nel bene e nel male, un'icona del bel calcio di una volta. Ma Manfred non se la beve più.

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