Sport

"In moto il rischio zero non può mai esistere. Ma quel silenzio stona"

Il 15 volte iridato Giacomo Agostini sulla morte di Dupasquier: "Ok correre, ma il ricordo prima del via senza senso"

"In moto il rischio zero non può mai esistere. Ma quel silenzio stona"

Abbassare la visiera e correre a 350 all'ora dopo aver appreso la notizia che Jason Dupasquier non ce l'aveva fatta. Domenica al Mugello non è stato facile per i piloti della MotoGP ritrovare la concentrazione, ma soprattutto è stato quel minuto di silenzio in griglia in memoria del diciannovenne svizzero un quarto d'ora prima del via a stridere e dividere il paddock. Il Motociclismo si riscopre fragile e i piloti si interrogano sulla spettacolarizzazione dello sport che tanto amano, in bene, come in male. Il 15 volte campione del mondo Giacomo Agostini, che correva in un'era in cui i brutti incidenti, spesso anche tragici, erano pane quotidiano, domenica era al Mugello.

Come si è vissuta la triste notizia della scomparsa di Dupasquier?

«È un momento molto triste che ognuno vive in silenzio nel suo intimo. Il minuto di silenzio pochi minuti prima della partenza della MotoGP è stato surreale. Assurdo. Stridente. Neanche due ore prima la Dorna aveva annunciato con un tweet e un comunicato che il cuore di Jason aveva smesso di battere. Era proprio necessario chiedere ai piloti di onorare un loro collega morto pochi minuti prima di correre? È stato troppo plateale. Che coraggio dai a questi ragazzi in un momento in cui tutto il paddock è sotto shock?».

Si riferisce anche al messaggio.

«Sì, in quel momento per un pilota il messaggio che arriva è: vedi che si muore? Ti faccio vedere che il nostro sport è pericolo e si muore. Il timing è sbagliato. Sono rimasto stupito dalla decisione degni organizzatori del campionato. Bastava farlo a fine gara».

Alcuni piloti avrebbero preferito non correre.

«Quando si sfreccia a 300 km/h il rischio esiste. Da quando correvo io si è fatto tanto per rendere le piste sicure, le tute hanno l'airbag, i caschi sono evoluti, ma la dinamica dell'incidente di Jason resta imprevedibile perché il pilota è caduto in pista ed è stato travolto dai compagni».

In questi casi lo show deve andare avanti?

«Secondo me non avrebbe senso non correre perché alla fine è un lavoro che hai scelto e tutti i lavori hanno un grado di rischio. Tanto è stato fatto ma il rischio non può essere eliminato del tutto. Non è crudezza, semplicemente a quei tempi si cercava di non pensarci. Ma se oggi ripenso a quello che ho visto, agli amici scomparsi o gravemente feriti, posso solo compiacermi di quanto quegli episodi siano diventati sempre più rari nel motomondiale di oggi. Un minimo di rischio resta e domenica, nostro malgrado, ci siamo trovati ad assistere ad un brutto episodio».

Come è cambiata la sicurezza?

«Questa per noi è indispensabile e al Mugello, per esempio hanno fatto un lavoro incredibile. Io ho corso qui nel 1976, fu il primo motomondiale classe 500 ospitato sul circuito toscano. Feci la pole e già arrivavamo in fondo al rettilineo a 280 km/h. Il layout non è cambiato, mentre è stato fatto tantissimo in termine di sicurezza. Mi hanno raccontato che la superficie totale delle vie di fuga del tracciato supera 16 Stadi Olimpici messi uno a fianco dell'altro.

Incredibile».

Commenti