Che Lewis Hamilton non fosse solo il miglior pilota di quest'epoca, lo avevamo capito da tempo. Non si è mai fermato in pista, è sempre andato oltre con le parole, con i pensieri. Una volta per difendere gli animali, l'altra per spiegare perché era diventato vegano. La sua ultima battaglia contro il razzismo è stato fortissima tanto dal permettersi di dire ai suoi colleghi: «Svegliatevi! Dite qualcosa anche voi». E loro lo hanno seguito come si fa solo con un capopopolo. Perché Lewis oggi è questo. Anche questo. Perché abbia così a cuore questa battaglia lo spiega il colore della sua pelle e quella frase detta a Toto Wolff: «Quante volte ti succede di dover riflettere sul fatto che sei bianco? A me capita tutti i giorni».
Ma per capire tutti i suoi post Instagram, quei pugni chiusi levati al cielo, mancava un tassello, una confessione. Eccola: «Da piccolo sono stato bullizzato e picchiato per il mio colore della pelle, ho imparato a difendermi con il karate», una rivelazione shock. #Blacklivesmatter è il suo hashtag preferito in questo periodo. Mentre i suoi avversari si sfidano in gare virtuali che sono avvincenti solo per loro, Lewis Hamilton continua con il suo racconto: «Ho letto ogni giorno il più possibile per cercare di sapere tutto il possibile su quello che è successo nella lotta contro il razzismo, questo ha riportato alla memoria tanti dolorosi ricordi della mia gioventù. Memorie intense delle sfide che ho affrontato quando ero bambino, come credo che molti di voi che abbiano sperimentato il razzismo o qualsiasi tipo di discriminazione abbiamo vissuto. Ho parlato così poco delle mie esperienze personali perché mi è stato insegnato a tenermi le cose dentro, non mostrare debolezze, uccidere gli altri con l'amore e poi batterli in pista. Ma lontano dai circuiti sono stato bullizzato, picchiato, e il solo modo per rispondere a questo è stato imparare a difendermi, così ho imparato il karate. Ma gli effetti psicologici negativi non possono essere misurati».
«È anche per questo che guido nel modo in cui lo faccio, è molto più profondo di un semplice sport, io sto ancora lottando - spiega Hamilton -. Grazie a Dio avevo mio papà, una figura molto forte. Non tutti hanno questa fortuna, ma dobbiamo restare uniti con coloro che non hanno un eroe al quale affidarsi. Dobbiamo unirci! Mi ero chiesto perché il 2020 sembrasse così sfortunato sin dall'inizio, ma ora sto cominciando a pensare che potrebbe essere l'anno più importante delle nostre vite, dove poter finalmente cominciare a cambiare l'oppressione delle minoranze. Vogliamo solo vivere, avere le stesse possibilità a livello di istruzione, e non aver paura di passeggiare per strada, andare a scuola o in un negozio.
Ce lo meritiamo come chiunque altro. L'uguaglianza è fondamentale per il nostro futuro. Non possiamo smettere di portare avanti questa battaglia e io per primo non mollerò mai». Parole dure, chiare, precise. Mohammed Ali ha trovato il suo erede.
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