nostro inviato a Rio de Janeiro
Nella sfida, 7 contro 7, il ct aveva schierato: Julio Cesar; Neymar, Neymar; Neymar, Neymar, Neymar; Oscar. A parte il portiere e quello che aveva sulla schiena l'11 del centrocampista del Chelsea, gli altri 5 bambini della squadretta che si giocava fino alla morte la sua partitella infinita sulla sabbia carioca di Urca avevano tutti la stessa maglietta, la numero 10. E si chiamavano Neymar Jr. Per tutti loro, i papà le mamme e altri 200 milioni di brasiliani, l'altro ieri è stato un venerdì diverso.
Lo psicodramma nazionale dei rigori contro il Cile, il rischio concreto dell'eliminazione già agli ottavi e il pianto collettivo dei giocatori sono stati spazzati via dal primo tempo contro la Colombia e dal gol del capitano ritrovato, Thiago Silva. Il Brasile c'era, dominava i cafeteros, fino a quel momento i più brillanti di questa coppa, e il loro fuoriclasse e capocannoniere "Rames", come lo pronunciano qui. Il gol della sicurezza nel secondo tempo aveva chiuso i giochi, anche se poi non sono mancati i patemi. Ma al minuto 87, quando pochi hanno capito subito che Neymar si era fatto male sul serio per la ginocchiata nella schiena di Zuniga - permessa dall'arbitraggio scellerato dello spagnolo Carballo, che ha tollerato il numero record di falli del torneo - il Paese è tornato nello sconforto. A sua insaputa, perché la notizia che l'uomo-squadra di questa nazionale, che vuole e deve vincere il mondiale in casa, si fosse fratturato trasversalmente la terza vertebra lombare (stop 4-6 settimane) è circolata solo dopo più di due ore dalla fine della partita con la Colombia.
Rio, al fischio finale, era esplosa. La voglia di festeggiare, ballare, far baldoria nelle strade e nelle spiagge insieme a gente arrivata da tutto il mondo, fino a quel momento era stata compressa sia dai timori di eliminazione, sia dalle polemiche sulle spese pubbliche che hanno preceduto questi mondiali. L'approdo in semifinale ha fatto saltare il tappo: il Brasile ha cominciato a credere sul serio agli "esa-campeao". Ma la gioia è durata poco. Il Paese ancora non sapeva e lo ha appreso piano piano, di notte. Rete Globo e le altre tv hanno presto trasformato i brasiliani in 200 milioni di ortopedici, mostrando nei dettagli come è fatta la colonna e cosa successo laggiù, nell'aluccia sinistra di quella terza vertebra lombare di un giocatore che purtroppo non è solo il sogno di tutti i bambini, ma è fatto di carne e, per l'appunto, ossa. E non c'è niente da fare: di rigiocare anche un solo minuto in questo torneo non se ne parla. Neymar ha lasciato, adagiato su una barella e trasportato da un elicottero, il ritiro della nazionale brasiliana a Teresopolis. «Mi hanno scippato il sogno di giocare la finale mondiale», il suo commento. Di nuovo paura, dramma nazionale. Come se questa coppa fosse proprio maledetta. E il popolo brasiliano vacillante, come ha scritto il cronista di razza, Nelson Rodrigues, prima dei mondiali poi vinti del '58, «tra il pessimismo più ottuso e la speranza più frenetica».
Il clima è questo. Quello di una nazione capace di disperarsi realmente al capezzale del suo numero 10. Tanto che il presidente Dilma, che sta vivendo la coppa da clandestina, mai allo stadio per evitare incidenti, critiche e insulti come accaduto all'inaugurazione, venerdì notte è tornata in campo e con un tweet ha preso per mano la nazione smarrita. Forse informata in tempo reale dell'infortunio, ha lanciato l'hashtag #ForçaNeymar, chiamando il "popolo brasiliano" all'unità. Proprio così. E ieri ancora: Dilma ha informato via twitter di aver «inviato un messaggio a Neymar» e di sostegno alla nazionale. «La sua faccia di dolore di ieri - scrive Dilma - ha ferito il mio cuore e quello di tutti i brasiliani e brasiliane». Ma abbiamo anche visto «un grande guerriero che interrompe brevemente la sua marcia, ma ha già lasciato la traccia indelebile per la vittoriosa battaglia finale». Così per il Brasile oggi inizia un nuovo mondiale.
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