Il Milan va all'attacco

Niente Zirkzee, tutto su Morata. "Giocheremo 30 metri più alti". E Ibrahimovic sul primo giorno: "Per il mondo, Dio ne usò 7"

Il Milan va all'attacco
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Accoglienza gelida, appena qualche famigliola davanti agli uffici di casa Milan e un contestatore isolato con cartello in latino («fino a quando dunque, Cardinale, abuserai della nostra pazienza»), tutto il management - da Franco Baresi a Furlani - schierato in prima fila. Il primo giorno di Paulo Fonseca in rossonero è cominciato così. Prima di sottoporsi alla sequenza delle domande è passato dal museo del Milan e Ibra, non a caso, gli ha segnalato che «c'è spazio per nuovi trofei». Ecco lo sforzo principale compiuto da Fonseca, portoghese sì ma con un ma («sono diverso da Mourinho»), guidato da Ibra e dalla comunicazione del Milan: parlare un linguaggio gradito alla platea dei tifosi. Non a caso i due sostantivi ripetuti più volte dal portoghese (sulla giacca il distintivo dell'Ucraina in omaggio alla moglie Ucraina, ndr) sono stati: ambizione e responsabilità. Sono le sue colonne d'Ercole prima di intraprendere un lungo e impegnativo viaggio, scandito da scetticismo diffuso e dal peso di guidare «un club universale». «Sono io che devo convincere i tifosi» è il suo bigliettino da visita. «Non possiamo scappare dalla realtà di dover competere per lo scudetto» l'altra ammissione prima di puntare sull'identikit del suo prossimo Milan.

Spiega ancora Fonseca: «Il club ha una storia di calcio offensivo: dovremo coltivare questo aspetto, essere dominanti, coraggiosi, reattivi e diventare l'orgoglio dei tifosi» la formula teorica che deve fare i conti con la pratica e col rischio di accentuare la fragilità tradita nelle sfide con l'Inter. Questo allora il tratto distintivo: «Vogliamo giocare 30 metri più avanti, difenderci alti, mai lo faremo marcando a uomo». Dallo studio del Milan di Pioli, Fonseca ha ricavato più di una convinzione: «I tanti gol subiti non sono la conseguenza di errori individuali ma di una strategia diversa; la nostra dovrà tenere conto di maggiore equilibrio e aggressività». Sull'altro deficit della gestione Pioli - il numero industriale di infortuni muscolari patiti - l'intervento di Ibra è chiarificatore: «Abbiamo già cambiato la parte medicale, pensiamo di essere sulla strada giusta».

Poi c'è la spina nel fianco: il mercato ancora fermo. E qui si capisce quasi tutto, l'identità dei mister x e i silenzi di facciata. Per Fonseca «il centravanti è la priorità». Confermata da Ibra che promette una soluzione a breve e che cancella però dall'agenda la candidatura di Zirkzee («è il passato») e il suo procuratore Kia («ci sono procuratori che risolvono problemi e procuratori che creano problemi, io non sono deluso»). Si aspetta la fine dell'Europeo per avere il sì dello spagnolo. «Sappiano quello che vogliamo» è la conferma di Fonseca. Idee chiare? Eccole: Morata più un difensore e un centrocampista di caratteristiche difensive. «Ma nel frattempo deve uscire qualcuno» aggiunge Ibra e sembra di riascoltare la stessa spiegazione di Adriano Galliani. Diverso è di sicuro il metodo adottato dal Milan di Ibra. Per esempio con Origi e Ballò Tourè, fuori dai piani milanisti, convocati sì «ma con Milan futuro» tuona Zlatan. Oppure nei confronti di Theo Hernandez: «Lui è di Milan, famiglia sta bene qui, con gioco di Fonseca andrà anche meglio».

Più conciliante il tono di Ibra con i tifosi: «Si aspettano tanto, tra noi e loro è tanto amore, Dio creò il mondo in 7 giorni, noi siamo al primo giorno». Infine il rapporto con i calciatori. Qui Fonseca è più cattedratico: «Leao? Voglio lavorare con lui. Florenzi? Io conto su tutti, Florenzi è uno di questi». Pochi slanci.

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