Quando a Torino, e nel resto del Paese bello, si parla e si scrive di Agnelli sembra che ne sia esistito un unico esemplare: Gianni, l'Avvocato. Ricorreva ieri il nono anniversario della scomparsa di Umberto, una fotografia importante dell'album di famiglia e della storia italiana. È singolare come pochi abbiano voglia e pensiero di ricordarlo; mi riferisco, ad esempio, ai suiveurs della Juventus e ai nostalgici di un passato remoto e prossimo della Fiat.
La presenza del figlio Andrea, nel ruolo che fu di suo padre e di suo zio, viene letta come una delega, una faccenda sbrigata dal cugino John Yakob Elkann per togliersi dai piedi la rogna bianconera, dopo la miserabile vicenda del duemila e sei e le sciagurate gestioni societarie susseguenti.
Umberto Agnelli è stato l'uomo che ha cambiato davvero e profondamente la cronaca e la storia della nuova Juventus, così come aveva dovuto affrontare l'emergenza a metà degli anni Cinquanta, lasciando da parte il prestigio e occupandosi del club come di una azienda, infine impostandone la quotazione in Borsa. In occasione di un convegno a Londra dell'Amue (l'associazione per la moneta unica europea), di cui era vicepresidente, Gianni Agnelli ebbe a dire: «Finalmente questa nuova dirigenza mi ha fatto capire che la Juventus non è soltanto un sacrificio di denari ma può essere un affare».
Il merito era di suo fratello, lo stesso che, prima che lo malattia ne esaurisse le energie, avrebbe individuato in Fabio Capello l'uomo per consolidare e rilanciare la squadra, lo stesso che aveva voluto il nuovo stadio affidando l'incarico ad Antonio Giraudo, progetto poi preso e propagandato da Jean Claude Blanc, il primo e unico dirigente nella storia juventina ad avere occupato tre ruoli in contemporanea, presidente, amministratore delegato e direttore generale, con effetti devastanti sul bilancio e senza alcuna memoria per i risultati della squadra.
Umberto Agnelli è stato, dunque, l'ultimo grande rappresentante di una dinastia che oggi ha altri indirizzi, altre priorità, altre scelte. Allegra, sua moglie, segue le partite della Juventus con passione ma resta in zona d'ombra come da sempre, secondo stile ed educazione. Andrea, il figlio, sa di dover recitare una parte difficile in un'epoca diversa, per molti motivi, da quella vissuta dal padre.
Resta un mistero maligno, pieno di sussurri e sospetti, (una guerra fredda tra famigli e famigliari), lo scenario che cambiò la storia interna della Juventus nell'estate del duemila e sei, due anni dopo la morte del presidente.
Umberto Agnelli andrebbe ricordato anche per il patrimonio accumulato come responsabile di riferimento del club: dieci scudetti, due coppe Italia, una coppa dei campioni, una coppa intercontinentale, quattro
supercoppe italiane e una supercoppa europea.Ma è soltanto mormorio, luce fioca, come fu la sua esistenza a fianco del fratello e di astute figure che per anni si sono avvicendate nel gruppo e di quella rendita ancora vivono.
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