Buona, anzi ottima la prima del nuovo Milan di Pippo Inzaghi. Piano a considerarlo un parente povero del Milan principesco che fu e che raccolse in giro per il mondo trionfi e coppe. Piano perché, senza inseguire sogni di gloria, inopportuni dopo il primo atto del torneo, il nuovo Milan di Pippo Inzaghi è già una squadra con un capo e una coda, con un sistema di gioco che ne esalta le virtù e ne nasconde i difetti. Il 3 a 1 di ieri sulla Lazio, che non è sulla carta rivale di secondo piano, frutto di contropiedi veloci e di molto altro ancora, è una prima dimostrazione del buon lavoro effettuato nei 50 giorni precedenti. E delle scelte di mercato firmate da Adriano Galliani, di sicuro valore e rendimento. Un nome su tutti, per cominciare: quello di Diego Lopez, arrivato dal Real Madrid e non dal Cerignola, con la qualifica di eccellente portiere, benedetto da Carlo Ancelotti e William Vecchi. Alla sua prima esibizione, dopo una serata da disoccupato, si è esibito con un paio di numeri, esaltandosi nel finale parando il rigore del possibile 3-2 di Candreva. Il Milan ha un portiere, questo è un punto di partenza per niente trascurabile. Davanti a lui la famosa "banda del buco", processata tante volte nella stagione appena trascorsa, è una difesa che ha retto gli artigli di Klose e soci grazie alla personalità di Alex e alla velocità di Zapata. Sono questi i miglioramenti più vistosi a cui han fatto da cornice il recupero prezioso delle energie decisive di El Shaarawy, del talento di Menez e del contributo di Honda, un atipico trio d'attacco che si è mosso in sincrono, aiutandosi e dandosi una mano come succede nelle squadre di stampo socialista.
Certo ad agevolare il primo successo dell'anno calcistico, sotto gli occhi di Silvio Berlusconi («Le piace Torres?» gli chiedono e lui ha risposto: «Ssss»), di Antonio Conte e del nuovo arrivato Fernando Torres, ha contribuito quel triangolo strepitoso allestito dopo 7 minuti da Bonera e El Shaarawy con un fulminante contropiede: Honda, messo davanti alla porta, ha timbrato il cartellino e mandato al settimo cielo i giornalisti giapponesi che lo seguono come un santo protettore. La Lazio, nata per far male in velocità con le frecce Keita e Candreva, ha dovuto affrontare un altro copione e scoprire tutti i limiti attuali: condizione fisica precaria, difesa ancora tutta da sintonizzare, troppi nuovi arrivi tutti in un colpo per non tradire incomprensioni ed errori di posizione, un disastro i due centrali. Nella sua migliore frazione, la seconda, si è anche fatta infilare dalla volata di Abate con servizio preciso al millimetro per Muntari in spaccata e poi dal rigore di Menez (colpito in area dallo sciagurato De Vrij): a quel punto, metà ripresa, risalire la china sarebbe stato impossibile anche col vecchio Milan di Seedorf. Impresa cominciata con una sfortunata deviazione di Alex (su Djordjevic) e poi svanita sul rigore di Candreva respinto dal brillante Diego Lopez. A quel punto gli arrivi dalla panchina (Essien, Armero e Niang) più gli accorgimenti tattici di Pippo (è passato alla difesa a 5 senza falsi pudori) hanno consentito al Milan di evitarsi la tortura di un finale col batticuore. De Jong, aiutato da Essien, ha costruito una trincea di cemento armato e con lui hanno collaborato, corso e lottato tutti, persino Niang.
Ecco infine l'altra caratteristica del nuovo Milan di Pippo Inzaghi: non riscuoterà successo presso la gente che piace, ma per impegno, dedizione e capacità di soffrire, ha già stregato la sua curva che ha accolto il tecnico esordiente con una ovazione all'inizio e ha salutato i primi 3 punti con la ola. Forse non arriverà nei primi tre posti come ha chiesto Galliani ma non è così male. Specie con il prossimo arrivo di van Ginkel e quello probabile di Biabiany.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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