di Riccardo Signori
Domenica sott'acqua. Non è l'acqua che vien dal cielo ma quella che ci sentiamo scrosciare addosso chissà da quale mondo, chissà da quale imbroglio: un po' odorosa, quasi melmosa, l'acqua che manda lo sport nella sabbie mobili. Qualcuno dirà che ieri lo sport ha vinto a Genova dove non si è giocato, ma pure a Torino dove si è giocato con la neve e, intorno alle 22, forse si stava peggio che a Genova. Ha vinto con la Milano-Sanremo, ridotta a gara cicloamatoriale con trasporto in pullman. Ha vinto nella Formula uno perché tutto è ricominciato come prima, più di prima, come sempre più di sempre con annesso buon risultato Ferrari. E chissenefrega se qualificazioni e gara si sono stressate una contro l'altra nel giro di poche ore.
Ma che sport è mai questo? Quello che si inginocchia a qualunque interesse tranne al suo? Comandano le televisioni, comandano le necessità di calendario (leggi ciclismo), comanda la paura a Genova dove ogni volta che arriva l'Inter sembra si annunci un cataclisma. C'è da avere i brividi. Purtroppo l'anno passato è successo, quest'anno sarebbe bastato mantenere l'orario originario (ore 15) per non avere grattacapi. Invece l'Inter ha chiesto di posticipare, la Sampdoria ha stranamente accettato. Qualcuno dirà: in nome dello sport. Che magari si chiama affare Icardi.
Poi, certo, contano anche gli interessi tv: il pallone incassa e spreca, gli altri decidono. Sennò perché giocare tre partite in notturna alla domenica? Per far riposare Inter e Lazio? E allora a cosa servono le rose numerose e costose? E i diritti di chi si abbona sono sempre dimenticati? Chi andrà a vedere la partita in giorno feriale?
In realtà lo sport non ha speranza. Lasciate ogni illusione voi che lo seguite: sponsor, tv e calendari mangiano e si mangeranno ogni credibilità. È successo da tempo, ma non ce ne accorgiamo finché non tocchiamo con mano. Il doping ha negato da tempo credibilità al ciclismo. La necessità di correre una Milano-Sanremo dimezzata, senza poterla rinviare sennò il calendario... è un aspetto che corre sotto traccia e stavolta è affiorato. Vale per tutti: anche per la Formula uno che se la tira, ma celebra il primo gran premio come mettesse in valigia velocemente quattro stracci. Forza, siamo di fretta. Poi la Tv te lo fa godere con tutte le sue spettacolari trovate, senza pensare che i piloti sono comunque atleti.
Domenica in cui tutto è filato nella regolarità della irregolarità. Nella quale nulla ti indispettisce se non il fatto di non vedere l'Inter in posticipo, la Milano-Sanremo sul Turchino e nel saliscendi de Le Manie, dove i corridori non se la sono onestamente sentita di rischiare la pelle.
Ecco, allora tutto bene: lo sport ha vinto ancora, diranno i soliti animatori del qualunquismo. Abbiamo visto di peggio. E al peggio non c'è mai fine. Stavolta l'ha detta giusta perfino Antonio Conte che a volte abbonda nelle fesserie. Ha esultato a Bologna, uscendone (ingiustamente) bacchettato. Ma nello sport che finisce sott'acqua mettiamoci la sua denuncia che dice: «Dovunque andiamo ci insultano, ci spaccano i vetri del pullman, vedo genitori con bambini in braccio che insultano e bestemmiano, non c'è città dove non siamo trattati così. Vien voglia di andarsene dall'Italia».
Fa male sentir dire quel «vien voglia di scappare» a un italiano vero, autentico, con pregi e difetti della sua passionalità quale è l'allenatore della Juve. Quella raccontata è una situazione anomala in un mondo civile, anche se molto classica nel nostro tifo pallonaro (meno civile). La squadra che ha il maggior numero di tifosi in Italia non può girare l'Italia. Un controsenso. Certo, nel calcio capita a chi comanda, a chi ha potere o possiede il dono dell'antipatia.
La Juve, dicono i numeri, è simpatica (e antipatica) a mezza Italia. Spesso è stata accusata di latrocini calcistici. Ma tanto non basta per rilanciare e accettare quelle immagini che Conte ha denunciato. Anche in questo caso lo sport non comanda più. E la domenica è un alluvione.
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