«Penso a Borgonovo e soffro ancora per papà Ecco come vivevamo»

I funerali di Stefano Borgonovo saranno celebrati lunedì alle 14.30, nella chiesa Santi Filippo e Giacomo di Giussano, dove viveva l'ex centravanti morto a 49 anni, dopo 5 di lotta alla Sla. Nel pomeriggio di ieri l'apertura della camera ardente a Casa Mazenta, la corte nel centro brianzolo dove vive la famiglia. Per le strade i manifesti funebri, il sindaco Gian Paolo Riva definisce Stefano «raro esempio di impegno, coraggio e tenacia, nel suo cammino di sofferenza». Tanti campioni manifestano cordoglio. Roberto Baggio era stato suo compagno a Firenze: «Nel 2008 organizzammo - scrive sulla Gazzetta - l'amichevole tra Fiorentina e Milan in favore della fondazione Borgonovo. Sotto la curva Fiesole, i tifosi inneggiavano Stefano e me, come 20 anni prima, quando arrivammo assieme in nazionale: all'epoca lo mandavo in gol e nei suoi occhi vedevo una felicità infinita». Alessandro Del Piero: «Stefano era un grande lottatore, innamorato del calcio e della vita». Francesco Totti: «Il suo coraggio è un esempio di vita».
Questi i big del calcio, poi c'è un ragazzo che la malattia devastante che ha portato via Borgonovo l'ha conosciuta da vicino. Troppo vicino. È Andrea Signorini, suo padre Gianluca, mitico capitano del Genoa, è l'altro grande calciatore vittima della Sla. Anche Andrea è calciatore professionista... «Da tre stagioni gioco nel Benevento - racconta a 23 anni, difensore centrale come il papà -. Esco dal settore giovanile del Genoa, da capitano sollevai la coppa Italia primavera, debuttai in serie A contro il Chievo, lanciato da mister Gasperini».
La morte di Borgonovo fa riafforare il dolore per la perdita del papà?
«Sono passati 11 anni, ci penso sempre. Tantissime altre persone muoiono del morbo di Lou Gehrig. Anche a Pisa, dove vivo».
Aveva conosciuto Borgonovo?
«No. In famiglia sono il meno attento alla malattia».
La sorella minore Giulia è nata nel '99. Papà era già ammalato?
«Non quando è stata concepita».
Esistono rimedi?
«Non sono informato, ripetevano sempre che non è curabile».
Pensavamo a un suo coinvolgimento maggiore...
«Papà scomparve che avevo 11 anni, neanche ricordo tutto, non ho mai approfondito».
Non era stato suo piccolo infermiere?
«Guardavamo assieme le partite di calcio. Fortunatamente in carriera aveva messo soldi da parte, così mamma Antonella gli comprò il pullmino per trasportarlo e due carrozzine, una elettrica, l'altra manuale. Abitavamo in una casa a tre piani, installammo l'ascensore per evitare le scale. C'era sempre un badante filippino, spesso anche una terapista toscana».
La famiglia Signorini partecipa a iniziative pubbliche sulla Sla?
«Solo le mie sorelle, in particolare Benedetta, ha 30 anni. Mamma, mio fratello maggiore Alessio e io no: in quelle circostanze il ricordo del babbo mi farebbe ancora più male. Preferisco starmene fuori, sono più tranquillo».
Nel 2001 però a Marassi scese in campo...
«Avevo 10 anni. Era Genoa-Parma vecchie glorie, papà fece l'ingresso allo stadio in sedia a rotelle, la gradinata Nord inneggiava “Luca, Luca”, si pianse... Tuttora mi commuove la gente che al cimitero di Lajatico, nel Pisano, lascia sulla lapide la sciarpa rossoblù».


Nel 2005 partecipò al funerale di mister Scoglio, che aveva portato il Grifone in Europa.
«A 14 anni portai la bara al posto di papà, assieme a Eranio e altri. Non andrò a rendere omaggio a Borgonovo, alimenterebbe il mio dolore».

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