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Pioli, il normalizzatore e la Juventus ribaltata. "Un esempio, noi pronti"

Il tecnico e la rimonta di luglio coi bianconeri. "Crederci sempre è diventato il nostro mantra"

Pioli, il normalizzatore e la Juventus ribaltata. "Un esempio, noi pronti"

Benedetta quella sera del 7 luglio 2020. Benedetta, per il Milan di Pioli, perché quella sfida con la Juve, compromessa dai due squilli di Rabiot e CR7 e poi incredibilmente ribaltata dal 4 a 2 finale, è diventata il trampolino di lancio verso il rinascimento rossonero. Stefano Pioli è partito proprio da quel passaggio per preparare la sfida di stasera che può svelare nuovi orizzonti o ricacciare indietro la capolista incalzata dai propositi di sorpasso interista. «Nessuno, dopo lo 0 a 2, pensava che potessimo recuperare. Quella prova ha dimostrato che bisogna restare dentro le partite anche quando il risultato volge al peggio: crederci sempre è diventato il nostro mantra al termine di quella gara» è il bigliettino di presentazione del nuovo Milan spuntato da quella notte di mezza estate. Certo, questa di Pirlo è una Juve diversa rispetto a quella di Sarri giunta allora all'ultimo chilometro prima del 9° scudetto consecutivo. «Se palleggia sono guai per noi, perciò bisognerà avere una sola dote per non soffrire troppo: essere lucidi nel leggere le diverse fasi della partita» è l'istruzione per l'uso che Pioli ha affidato ai suoi evitando i toni da snodo decisivo, cancellando persino quei calcoli da ragioniere («un pareggio non sarebbe male») che appartengono infatti a un altro calcio, un altro mondo, mille chilometri lontano da Milanello e dintorni. «Pensare a un pareggio è la strada più vicina per arrivare alla sconfitta. Alla fine sarò contento solo e soltanto se riconoscerò ai miei di aver dato il massimo» è il pensiero di Pioli da trasmettere a un gruppo che lo ha eletto a simbolo, dopo averlo accolto con l'etichetta del normalizzatore, o addirittura del sostituto del prescelto (Spalletti).

Non è ancora un Milan-Juve decisivo, come tanti altri nella gloriosa storia del calcio italiano, come in particolare quelle sfide vinte a Torino che, in molte stagioni, annunciarono lo scudetto rossonero. «Per poter pronunciare la parola scudetto dovremo mantenere alti i due fattori più importanti: l'intensità e la qualità. Abbiamo 7 concorrenti che sono una più attrezzata dell'altra e saranno in lotta con noi fino alla fine per piazzarsi nei primi quattro posti della Champions» è la sua idea fissa che punta a vincere la maratona e non al traguardo di tappa. Perciò non c'è un solo passaggio dedicato alle tante assenze accumulate, una dopo l'altra, e che si ripetono da troppo tempo, a cominciare da Ibra fuori dalla serata di Napoli e non ancora pronto per tornare, a dispetto del tik tok pubblicato ieri mattina. Pioli, tra l'altro, l'ha allegramente rimproverato per quel post oltre che invitato a non accelerare il rientro per non compromettere il futuro, più importante del presente. «Mi hai fatto ricevere una valanga di messaggi dai giornalisti» gli ha detto.

Non ci sarà Zlatan. Né lui né Bennacer, né Tonali squalificato, né Saelemaekers a dimostrazione che rafforzare il gruppo non è un capriccio e nemmeno una esibizione di potenza finanziaria dell'azionista Elliott. Simakan è meno vicino di quanto si pensi, il centrocampista Konè forse il primo dei nuovi arrivi.

«Di sicuro non abbiamo messo nessuno sul mercato, tanto meno Conti» è il messaggio ai riservisti come l'ex atalantino, entrato nel finale di Benevento e lucidissimo in una giocata dalle parti di Donnarumma.

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