
Guardi Adolfo Anconetani e hai la sensazione di trovarti davanti a suo padre, Romeo. Poi lo ascolti (stesso tono di voce, stessa loquela, stessa inesauribile parlantina) e hai la «certezza» di essere «davvero» con Romeo... «Ho avuto in lui un grande maestro», ci dice Adolfo desideroso di raccontare aneddoti e curiosità di un'era calcistica in cui i presidenti di calcio erano personaggi più dei calciatori che avevano in squadra. Una figura, quella di Romeo Anconetani, patron del Pisa dal 1978 al 1994, più rara di molte figurine Panini; lui che per scaramanzia spargeva sale sul terreno di gioco, ma il sale ce l'aveva soprattutto in zucca.
Scomparso il 3 novembre 1999 - noto come «Signor 5 per cento» per via delle provvigioni sulla compravendita dei giocatori - lo storico presidente rimane ancora oggi negli occhi e nel cuore dei pisani al pari della Torre pendente.
E ora che dopo 34 anni di purgatorio la squadra di mister Pippo Inzaghi è tonata in A, anche il mitico Romeo può urlare da lassù: «Grande Pisa!».
Adolfo Anconetani, per la promozione non le sarà mica venuto in sogno suo padre?
«Papà e mamma li sogno spesso. Oggi che siamo matematicamente in A sarebbe un giorno di gioia anche per loro. Non hanno mai smesso di amarsi e di amare il Pisa che era parte della famiglia. Mia madre controllava che le mogli dei calciatori si comportassero bene...».
Il Pisa è in buone mani?
«Sì. La società è solida. Ma per reggere la A ci sarà bisogno di potenziare la squadra».
Con SuperPippo Inzaghi confermato in panchina?
«Inzaghi ha fatto benissimo, ottenendo il 100% da ogni giocatore. Una performance da campione del mondo, come quella del suo collega Fabio Grosso volato in A col Sassuolo. Peccato per Nesta che invece è retrocesso col Monza».
Punti di contatto tra il Pisa dell'epoca Anconetani e quello di oggi?
«La passione dei tifosi pisani per il calcio è rimasta la stessa».
Suo padre sapeva come farsi amare dalla gente.
«Era un uomo schietto, con dei valori solidi. Garantiva lealtà e la esigeva dai suoi interlocutori».
Per questo mandò via da Pisa un talento come Simeone (il «Cholo», attuale tecnico dell'Atlético Madrid).
«Era il 1990. Quando lo portammo a Pisa aveva 18 anni. Il primo anno si comportò bene. Il secondo anno saltò una partita per andare in discoteca. Papà lo venne a sapere e gli disse: Così hai offeso te stesso, i tuoi compagni di squadra, la società e i tifosi. A fine campionato non ti voglio più vedere. Così lo cedette al Siviglia».
Ma è vera la storia di Gullit e Van Basten che erano stati già bloccati dal Pisa e che, causa retrocessione, suo padre «girò» al Milan di Berlusconi?
«Verissimo. Berlusconi aveva appena rilevato il Milan da Giussi Farina. Papà era noto nell'ambiente come abile mediatore di mercato. Silvio volle conoscerlo e tra i due scoccò la scintilla dell'empatia. Fu allora che mio padre gli segnalò la possibilità di cedergli la coppia Gullit-Van Basten. Berlusconi ne fu entusiasta, tanto da aggiungere al pacchetto olandese anche un terzo fuoriclasse: Rijkaard».
Lei per anni ha seguito passo passo suo padre, conoscendo il gotha del calcio nazionale. Una volta ha lavorato anche per Angelo Moratti.
«Moratti, altro gran signore. Al pari di Berlusconi che non ci abbandonò mai nei momenti di difficoltà.
Il presidente dell'Inter mi spedì in Sicilia per l'acquisto di un calciatore che giocava in un club minore di Palermo. Il proprietario della società era Marcello Dell'Utri: trovammo subito l'accordo e Moratti volle a tutti i costi regalarmi 500mila lire. Che spesi immediatamente per comprami una 600 Fiat».
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