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Pozzecco, l'elettrochoc che fa bene al basket

Pozzecco, l'elettrochoc che fa bene al basket

Delitto e castigo. Confessiamo di aver passato una notte agitata dopo aver visto Gianmarco Pozzecco guidare Varese nella vittoria contro Cantù nella prima giornata del campionato di basket. Vederlo nella nuova armatura dell'allenatore che bacia tutto e tutti, che sa scatenare la gente in tribuna e i propri giocatori in campo ci ha fatto venire in mente che prima di essere il Rodion Raskolnikov che uccide la critica usuraia, era stato un santo bevitore dedito al peccato, mai una sofferenza in difesa che adesso, invece, pretende dai suoi giocatori, un genio sul campo, un uomo difficile da allenare con la stessa energia che ora vuole dalla sua squadra nella città che lo ha adottato e gli ha dato la gloria, scudetto della stella, l'affetto che lui non nega a nessuno, neppure al giocatore che si trova spiazzato quando cerca una scusa per non soffrire perché lui gli fa capire che certe scappatoie le aveva inventate il Poz, cacciato due volte dalla nazionale, fuori nell'europeo vinto in Francia per decisione del Boscia Tanjevic che gli voleva bene, ma non ne sopportava l'egocentrismo, fuori dalla Fortitudo che Repesa portò allo scudetto.

Un vento nuovo nel basket è arrivato con questo mattocchio che alla fine si è fatto anche tagliare male i capelli dai suoi giocatori come aveva promesso in caso di vittoria nella sfida fra borghi meravigliosi per la storia del suo sport come Varese e Cantù. Quelle sbracciate da delfinista esaltato alla fine della partita, con il successo conquistato, non erano irrisione del nemico sconfitto, era liberazione per un allenatore esordiente nella massima serie, dopo l'apprendistato a Capo d'Orlando. Pozzecco, figlioccio del Dado Lombardi che ha fatto più o meno la stessa conversione quando diventò allenatore rigoroso dopo essere stato campione che non aiutava nessuno salvo il suo desiderio di essere l'unico protagonista sul campo. Si sono sfiorati i due nella vita professionale, ma Gianmarco ha cavalcato tigri diverse e vinto sul campo uno scudetto e un argento olimpico che il maestro occulto non aveva mai raggiunto pur avendo sbalordito il mondo entrando nel quintetto ideale delle Olimpiadi a Roma nel 1960 quando il livornese aveva soltanto 19 anni.

Pozzecco che bacia tutti alla fine, anche gli avversari sconfitti. Un uomo pieno di elettricità che sembrava al limite del collasso, un po' come il Pippo Inzaghi che col Milan tenta la stessa strada. Certo una partita vinta non può bastare e lui sa che in regime di povertà, contro i ricconi del campionato, dovrà masticare radici amare, dovrà soffrire fino in fondo, ma intanto eccolo in trionfo a Masnago davanti allo sbalordito Sacripanti.

Siamo sicuri che tutti i suoi vecchi allenatori, dal Recalcati che venera al Boscia a cui adesso vuole bene, quando fino a ieri avrebbe voluto investirlo con la macchina, hanno pensato, come noi, di mettersi in contatto con il regista russo Konchalovsky per fargli assumere Pozzecco come protagonista del musical pop inventato sul libro di Dostoevskij che andrà contro la “coca-colonizzazione“. Ecco lui è quello che in questo campionato, anche se non lo vincerà, può davvero cambiare tante cose.

Intanto è il personaggio del giorno e il basket aveva bisogno di mettere in vetrina un tipo come lui che adesso ha cominciato a conoscere la sofferenza dell'allenatore che ha indicato la strada a Crujff, Guardiola, Conte, al Pippo milanista, dipendente dall'umore di campioni difficili da pilotare, pur conoscendo tutti i trucchi per fare fesso chi li guida in panchina.

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