Bisogna ammetterlo: fa sempre un certo effetto mettere piede al Maracanà di Rio. Fa un certo effetto per noi comuni spettatori, figurarsi per chi ha il raro privilegio di pestare l'erba sacra di un tempio del calcio mondiale, teatro di quella tragedia nazionale che fu il mondiale del '50 (il Brasile perse in casa, in contropiede fulminante, dall'Uruguay di Schiaffino e Ghiggia) ma anche delle strepitose esibizioni e dei mille gol firmati da sua maestà Pelè. Chi non ha visto O rey non può capire: è stato una magia, una scossa elettrica, una felicità. L'Italia di Prandelli, col titolo di vicecampione d'Europa, vi mette piede stasera per inaugurare la Confederation Cup che non è affatto un torneo fortunato (l'edizione del 2009 in Sud Africa si concluse con un rotondo presagio di sconfitta per l'estate successiva) per i colori azzurri. E lo fa con uno schieramento improvvisato, allestito quasi per dichiarata emergenza dal ct al fine di far fronte agli allarmanti deficit di salute e smalto denunciati dai suoi prima a Praga, sfida di qualificazione, quindi contro Haiti poche ore dopo lo sbarco a Rio de Janeiro. Anche talune caratteristiche organizzative della spedizione, in verità, non hanno contribuito a ristabilire la feroce attenzione del gruppo negli ultimi giorni. E qui non si discute certo della spiaggia che si spalanca davanti all'ingresso dell'albergo scelto come quartier generale. Piuttosto è la presenza, nello stesso hotel, di mogli, fidanzate, e figli, sistemate in piani diversi, a destare la curiosità della stampa brasiliana e anche qualche commento non proprio elegante degli addetti della carovana azzurra. Le immagini, rilanciate dalle tv, della visita al Corcovado, sono più da scampagnata e gita scolastica che da raduno di una nazionale di calcio.
Il Messico, rivale del primo turno, non è più quello di un tempo andato: è dotato di qualche fuoriclasse e ha nella sua tradizione il compito di mandarci di traverso le sfide mondiali. Chiedere a Sacchi informazioni in tal senso. Perciò non può e non dev'essere sottovalutato. Hanno tecnica e gamba, di qui le preoccupazioni di Prandelli, deciso perciò a modificare il sistema di gioco e a inventarsi un alberello di Natale che tanta fortuna portò a Carlo Ancelotti ai tempi del Milan. Con una differenza sostanziale: i due trequartisti schierati dai berlusconiani in quelle occasioni erano Rui Costa (o Rivaldo) e Kakà, qui invece sono Marchisio col broncio (perché ha sentito puzza di bruciato in casa Juve) e Giaccherini. A questo simpatico jolly tascabile, il ct fece ricorso anche in Polonia quando si ritrovò nelle stesse condizioni: e cioè col gruppo dei titolari appesantito dalla preparazione e la critica inferocita dopo il disinvolto 0 a 3 subito in Svizzera dalla Russia. Ora immaginare che Giaccherini (subito in gol nell'amichevole con Haiti) possa rimediare agli affanni e ai ritardi della Nazionale, è un vero atto di fede.
Così, purtroppo, delle famose 3 g (gioventù, gioco, genio) che furono i punti fondamentali della rivoluzione prandelliana, non è rimasta, al momento, alcuna traccia. El Shaarawy ha qualche disturbo, Balotelli frenato da un piccolo acciacco, gli altri esponenti (Cerci su tutti) indietro nella condizione: perciò sarà indispensabile fare ricorso ai soliti senatori per reclamare attenzione e tensione, oltre che rendimento adeguato. Tra questi non può non spiccare Andrea Pirlo, col suo barbone castrista, avviato alla presenza numero 100 raggiunta questa sera che gli riconferma una certa aurea. Sulle sue spalle, e su quelle di una difesa collaudata, insomma, tanto per cambiare, anche su Buffon, bisogna contare e puntare per nascondere sotto il tappeto di questo debutto il deficit fisico che il ct e il suo staff hanno riscontrato.
A sollevare il morale azzurro ci ha provato infine una visita di Adriano.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.