Bella la vita tra Venezia e Roma. Bellissima quella di Pippo e Simone. Gli Inzaghi. Viaggia bene il Venezia, l'aria sui canali, dopo il trionfo della Reyer nel campionato di pallacanestro, anche la squadra di football ha le voglie del colpo di scena e Pippo Inzaghi sta lavorando al progetto. Qui sono passati Loik e Valentino Mazzola, Alvaro Recoba e Cesare Prandelli, dunque c'è una storia, dunque c'è una tradizione da rispolverare, buttando in laguna le carte bollate, i fallimenti, le dispute tribunalizie che negli ultimi anni avevano svergognato la squadra. Pippo Inzaghi è reduce dall'esperienza negativa nel Milan, un periodo vissuto con i fili scoperti, pagando per errori altrui, come confermano le analoghe vicende di suoi colleghi e, come, purtroppo si trascina ancora oggi la cronaca rossonera. Furono giorni caldi, pure macchiati dalla rissa verbale con Allegri la cui panchina traballava, scene da saloon che meglio sarebbe dimenticare.
Quel tempo deve essergli servito per capire e imparare, la serie B è lotta dura e aperta, il Venezia non era certo partito per essere protagonista ma agli americani, con Tacopina presidente e un consiglio di amministrazione tutto a stelle e strisce, interessano i fatti, Venezia non ha certo bisogno di propaganda, è città universale ma la squadra di football non poteva navigare ancora tra le nebbie. Diventa, allora, fascinoso il pensiero che Pippo Inzaghi riesca a riportare dopo sedici anni il Venezia in serie A ma soprattutto perché andrebbe ad affrontare la Lazio allenata da suo fratello, sempre che lo stesso rimanga nel sito attuale, viste le moine e la corte di altri club.
Simone, a differenza di Pippo, vive il football con minore frenesia, così era anche da calciatore, con un curriculum non così trionfale come quello dell'ex juventino e milanista, tra scudetti e coppe internazionali. Ma è forse questo il carattere distintivo, il desiderio di ribadire, da allenatore, lo scudetto vinto nel 2000, in una Lazio maestosa, con Boksic e Mancini, Veron e Nesta, Mihajlovic e Simeone, Salas e Nedved. Dunque Simone ha respirato l'aria dei grandi ma si è ritrovato eroe per caso, dopo la follia di Bielsa e la chiamata alle armi decisa da Lotito che lo aveva spedito alla Salernitana. Da fratello di oggi Simone è Inzaghi, quello che ha demolito il muro dell'Allianz di Torino, quello che ha battuto due volte la Juventus, portandole via la supercoppa, quello che ha ricostruito un ambiente ostile contro Lotito, quello che a bordo campo ama stare in camicia aderente, mantenendo la cravatta e urlando il giusto, senza mai scomporsi e lamentarsi, come molti suoi colleghi, compreso Pippo in fibrillazione continua, come usava da calciatore. Venezia e Lazio, là dove non conta il fatturato ma contano le idee, le parole, il lavoro, l'esperienza che si portano appresso i due allenatori, italiani, anzi italianissimi. Finiti i tempi della bella vita per entrambi, più maturi, professionalmente ineccepibili, esempio ideale per chi ritiene che il calcio debba essere soltanto una esibizione quotidiana di schemi e tattiche. Lo è, ma in campo e non davanti a un microfono o a una telecamera. Gli Inzaghi procedono con i fatti, non spacciano football avendolo ben frequentato, mangiato, divorato e, infine, digerito.
Per il momento se la godono tra Venezia e Roma, in attesa di conoscere l'ultima verità, ogni tanto scambiandosi consigli e pettegolezzi. Li chiamano i bronzi di Piacenza, una dinastia dorata. E' la Hall of Family degli Inzaghi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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