Premier, Sua Maestà il calcio. Ecco perché vale un tesoro

Cosa c'è dietro i 7 miliardi spesi per i diritti tv: solo 4 partite trasmesse a giornata, stadi pieni, 200 milioni a chi vince il titolo e 130 all'ultima. Che incassa più dell'Ajax

Premier, Sua Maestà il calcio. Ecco perché vale un tesoro

«Noi non guardiamo in basso, ma in alto, e fuori». Non al divario crescente, ormai siderale, con la serie cadetta inglese. Ma al resto d'Europa, all'élite continentale. Parole di Richard Scudamore, amministratore delegato della Premier League. Un campionato votato alla globalizzazione, il più famoso perché telegenico, il più ricco perché commerciale, il più esportabile perché pioniere. Sempre avanti, dal 1992, anno della sua fondazione. Quando per meno di 190 milioni di sterline cedeva per i cinque anni successivi i suoi diritti tv. A distanza di meno di un quarto di secolo, gli stessi diritti - ma di una sola stagione - valgono 10 volte di più. Una crescita esponenziale, impressionante. Di oltre il 70% rispetto all'ultimo contratto. Contraenti, due emittenti tv (Sky e Bt Sport) che coprono d'oro il calcio inglese per identica strategia di marketing: acquisire quote maggiori nel mercato della telefonia (fissa e mobile) e della banda larga. Il loro “vero” core-business. Il calcio come veicolo promozionale, che giustifica i miliardi di euro annui (1,8) sborsati da Sky per la diretta di 126 partite, come i 410 milioni di Bt Sport per 42 incontri. Sì, perché in Inghilterra non tutte le partite vengono trasmesse, solo quattro a giornata (per un totale di 168 dal 2016). Duplice il motivo: non inflazionare il prodotto calcio per continuare ad avere gli stadi sempre pieni. L'anno scorso l'indice di riempimento era del 96% nonostante la crescita incontrollata dei prezzi dei biglietti. Uno spettacolo settimanale che costa carissimo. Alle tv circa 13 milioni a partita, quanto un film di medio budget. E che proietta la Premier sul podio delle leghe sportive più dorate. Dietro solo ai colossi americani, la Nfl (football americano) che incassa dalle tv 4,2 miliardi fino al 2022, e la Nba (basket), con 2,2 miliardi fino al 2025. Sul terzo gradino la Premier League con il suo sistema mutualistico di ripartizione degli introiti. Il 50% del tesoro viene equamente suddiviso tra i 20 club della massima divisione; un quarto è distribuito in base alla classifica finale (ogni posizione vale circa 1,5 milioni), il restante 25% viene ripartito a seconda del numero degli incontri trasmessi (che valgono un milione cad.). Sono le tv a stabilire la programmazione, in base all'importanza delle partite, all'interesse (vedi qualità del gioco) delle singole squadre, con un occhio di riguardo (inevitabilmente) ai diversi bacini di utenza. Garantendo però a ciascun club un minimo di 10 passaggi televisivi. Così può succedere, come l'anno scorso, che il Liverpool, secondo in classifica, incassi più dei campioni del Manchester City grazie alle 28 dirette (a fronte delle 25 dei Citizens). Ma alla fine sono tutti felici. Perché tutti ricchi, i primi come gli ultimi. È il caso del Cardiff, retrocesso l'anno scorso con un assegno di 75 milioni. Con malcelata soddisfazione Scudamore, annunciando il nuovo accordo, ricordava come il Burnley, squadra di una cittadina di 70mila abitanti, attualmente penultima in Premier, abbia già oggi un fatturato superiore a quello dell'Ajax. Dall'anno prossimo il margine si allargherà: il fanalino di coda inglese incasserà 130 milioni, mentre ne andranno 200 alla vincitrice. Perché con la vendita dei diritti tv sul mercato internazionale si calcola che i ricavi complessivi saliranno a 10 miliardi. Capitali per dare l'assalto al resto d'Europa. Agli sceicchi che si sono installati a Parigi, ai giganti - sostenuti dalle banche - di Spagna.

Come prevedono gli analisti, convinti che il 95% dei nuovi denari finirà nelle tasche di calciatori e procuratori. Con buona pace di chi rimpiange il calcio nostalgico di una volta, invoca prezzi popolari, reclama sostegno per il calcio di base.

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