La procura conferma: dietro il giallo Pantani la mano della camorra

A rivelarlo «Studio Aperto» che ha mandato in onda le parole del camorrista. De Zan: «Lavoro estenuante»

Pier Augusto StagiCinque «sì» per togliere tanti non so. Un'intercettazione ambientale per fare luce su una delle vicende più buie e scabrose dello sport mondiale. Una cimice posizionata nell'abitazione di un camorrista e che ci riporta indietro di sedici anni, a quel drammatico 5 giugno 1999, quando Marco Pantani è costretto ad abbandonare i suoi sogni di gloria mentre pensava ormai d'aver già messo in cassaforte la sua maglia rosa. Cinque «sì» e una voce che porta elementi e non è l'unico in mano agli inquirenti di Forlì importanti su quanto possa essere accaduto quel mattino al corridore romagnolo e che ha segnato in pratica l'inizio della fine sportiva e non solo di uno dei corridori più amati di sempre. «È stato un lavoro lungo, difficile ed estenuante spiega Davide De Zan, uno dei colleghi che più si è adoperato per fare chiarezza su quanto accaduto quel mattino, nella stanza dell'hotel Touring, a Madonna di Campiglio -. Gli investigatori di Forlì sono stati eccezionali, così come quel gruppo ristretto di colleghi che ha lavorato a contatto con gli inquirenti per ristabilire una verità che, per mamma Tonina e tutta la famiglia, è balsamo su una ferita sempre aperta».Le indagini della polizia giudiziaria della Procura della Repubblica di Forlì, guidata dal procuratore Sergio Sottani, hanno portato a riscontri importanti. L'intercettazione che ieri è stata fatta ascoltare in esclusiva a «Studio Sport» su Italia 1, non è l'unico elemento nuovo. Agli inquirenti ha parlato un altro soggetto ritenuto dagli investigatori strategico in tutta questa vicenda, il quale ha confermato che la popolazione carceraria di Napoli era certa che Marco Pantani non sarebbe mai arrivato a Milano in maglia rosa. Anzi, non sarebbe proprio arrivato. Resta ancora da capire se il piano era preordinato già ad inizio corsa o l'idea di far saltare il banco è nata cammin facendo, quando la camorra si è resa conto del volume delle scommesse e soprattutto di quanto avrebbe dovuto pagare in caso di vittoria del Pirata. Marco Pantani fu fermato il 5 giugno del '99 per ematocrito elevato, alla vigilia della penultima tappa con Gavia, Mortirolo e arrivo all'Aprica. I valori sanguigni del corridore romagnolo erano elevati: 51,9% contro il 50% consentito in quegli anni dalle norme dell'Uci, il governo mondiale della bicicletta. Secondo gli inquirenti, valori sballati a regola d'arte. Pressioni e minacce all'indirizzo dei tre medici deputati al controllo. Tutto questo, lo ripetiamo, per delle scommesse clandestine a nove zeri (in lire): la camorra non poteva in pratica perdere. Doveva far saltare il banco, dopo aver incassato a dismisura. Da qui il piano di alterare il controllo del sangue. La Procura di Forlì ha lavorato sodo in questi mesi, ricostruendo tutti i passaggi della vicenda, ed è venuta in possesso della prova-regina, che non è la sola, con l'intercettazione ambientale di un affiliato a un clan che per cinque volte ripete la parola «sì». Cinque «sì» alla domanda se il test fosse stato alterato. E gli inquirenti sono arrivati anche a ricostruire la catena di comando, scovando anche i mandanti di tutta l'operazione. Tutto chiaro? Tutto finito? Mica tanto. Questa è una vicenda tutt'altro che risolta e finita. Al momento con gli elementi raccolti ci può essere solo una riabilitazione formale. Un modo per «ridare dignità a Marco», ha detto ieri mamma Tonina.

Il legale della famiglia Pantani, Antonio De Rensis, aspetta prima di valutare le prossime mosse. Stando così le cose, però, i reati sono già tutti prescritti e la Procura di Forlì non ha potuto far altro, proprio ieri, che chiedere l'archiviazione.

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