Quando cuore di pugile vuol dire coraggio

Rocky non è solo sangue e fantasia, il coraggio dei pugili non è solo un'icona ad uso e consumo delle vecchie storie o delle sceneggiature da film. Quando dici pugile intendi botte e coraggio. E quando vedi qualcuno pedalare all'indietro, correndo per il quadrato ti scappa di dire: non ha coraggio. Difficilmente, hanno sempre raccontato i vecchi suiveurs, un pugile non ha coraggio. Se così fosse non salirebbe sul ring, dove sei solo davanti ai pugni dell'altro, senza alcun riparo, senza altro per difendersi che non sia la forza del cuore, dei colpi e magari dell'astuzia.
Di recente due fatti di cronaca nera hanno raccontato la forza del cuore e magari dell'astuzia. Hanno raccontato che i boxeur possono avere paura, come qualunque uomo, ma poi il coraggio prende il sopravvento. Che si parli di Muhammad Alì o Rocky Marciano, di un journeyman (un perditore) o un Jake La Motta che talvolta perdeva per conto di... Le storie hanno ricordato che quando dici coraggio dici pugile: una a lieto fine, l'altra no. Il lieto fine, ed è anche l'episodio più recente, se lo sono raccontato i fratelli Khan, Amir e Harron. Amir è un fantastico boxeur inglese oggi un po' in declino, ex campione del mondo dei leggeri. I due sono stati bloccati da sei balordi che, nei pressi di Birmingham, hanno provato a rubar loro una lussuosa Range Rover. Ne è uscita una scena degna dei film di Bud Spencer: quelli provano a menare con manganelli, non è chiaro se avessero altre armi, questi hanno risposto con i pugni. Amir ha steso il primo, Haroon non è stato da meno. Botte e risposte, ma alla fine i sei gonzi sono saltati per aria e fuggiti accontentandosi di rompere il lunotto posteriore dell'auto. Se fosse furto o regolamento di conti, non si sa. Certo, il sestetto ha scelto male le vittime. Amir è sempre stato spavaldo sul ring, però per strada bisogna aver fegato, soprattutto quando gli altri sono tanti e tu hai solo due mani. Scene da film, certo. Ma questo non era un film.
Drammatica e struggente, invece, la fine di Corrie Sanders, sudafricano ex campione del mondo dei pesi massimi, uno dei pochi capace di mettere ko (appunto per il mondiale) Wladimir Klitschko, finito steso dalla vita a 46 anni per aver cercato di salvare la figlia. In un ristorante di Pretoria, Corrie stava festeggiando i 21 anni di un nipote quando tre ceffi, pare tre ragazzi dello Zimbawe, sono entrati armati per rapinare gli ospiti di danaro e oggetti preziosi. Non tutto è filato liscio e i rapinatori si sono messi a sparare. Corrie ha detto alla figlia di buttarsi a terra per ripararsi, e lui si è steso sopra di lei per ripararla: un colpo l'ha preso alla mano, un altro gli è entrato nello stomaco. Cuore di papà e cuore di pugile. Corrie aveva appena raccontato di voler tornare a fare il pugile. Certo un sintomo di pazzia, ma oggi è rimasto il ricordo di un eroe della vita finito malamente. La voglia del quadrato talvolta è coraggio, altre volte soltanto malessere della vita per molti pugili che non si saziano mai di pugni e ring.

Tanti ne hanno fatto l'unica casa in cui trovarsi a proprio agio, altri l'unico rifugio dalla povertà o dal malaffare. Eppure, anche se talvolta sconsiderata, questa voglia è il manifesto di un coraggio, forse di una incoscienza. Certo di un cuore di pugile.

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