Speriamo che i fondi cassa dell'atletica italiana, di cattivo umore fino a ieri, fino al sole dei maratoneti, siano decorosi per premiare l'oro di squadra dei nostri faticatori, l'argento della squadra femminile, l'oro di squadra degli uomini e, soprattutto, il bronzo sui 42 chilometri e 195 metri di Yassine Rachik, marocchino di Bergamo nato atleticamente qui cominciando dai Giochi della Gioventù che naturalmente abbiamo quasi distrutto. Parliamo di soldi perché ieri nella trionfale chiusura italiana dei giochi europei, fra tuffi, nuoto di fondo e ciclismo, abbiamo scoperto che alla coppia vincente nel golf sono andati 200mila euro. Speriamo che ai maratoneti e alle ragazze della lunga fatica venga dato qualcosa di meglio di un abbraccio.
Eravamo al buio, ma quando Berlino si è svegliata con qualche grado di meno, ma sempre sotto il sole, qualcosa è accaduto nella nuova Italia della fatica. Ci siamo presi un bronzo bellissimo con Rachik, terzo al traguardo in 2 ore 12'9, primato personale, nella maratona vinta in 2 ore 9'51 dal belga Keon Naert davanti al trentaseienne svizzero dell'Asmara Tedesse Abraham. Ma non era tutto, grazie al quinto posto di Eyeb Fanel, nato in Eritrea, ex calciatore, diventato italiano nel 2015, e al grossetano Stefano La Rosa, 12°, ci siamo presi anche l'oro a squadre e faceva un bell'effetto sentire l'inno di Mameli nella medal plaza berlinese dopo la battaglia ai bordi della Sprea.
Sul podio è andata anche la squadra femminile di maratona vinta dalla bielorussa Mazuronak in 2ore 26'22, tamponando una espistassi che l'ha fatta sanguinare per i primi chilometri, stoica nel resistere anche all'attacco della francese Calvin e alla ceca Vrabokava, bronzo a 9 secondi. Per le azzurre argento di squadra dietro alle bielorusse grazie al 6° posto della bergamasca Sara Dossena, all'8° della dottoressa Catherine Bertone, classe 1972, che lavora al pronto soccorso pediatrico di Aosta, al 14° di Fatna Maroui, marocchina, pure lei anzianotta, è del 1977, diventata italiana per il matrimonio con Eric conosciuto ad Arona dove aveva raggiunto la sorella nel 1998. Medaglie che magari non faranno vero bottino nel medagliere, ma ci serviva per respirare un po' meglio nell'Europeo delle troppe medaglie di legno, ma dove è nata una nazionale per italiani di nuova generazione. Le nostre medaglie vere, tre su quattro di bronzo, ce le hanno date, oltre alla marciatrice Palmisano, Crippa sui 5000 e Chiappinelli nei 3000 siepi, i ragazzi venuti dall'Etiopia, crociati per nuove generazioni che cercano qui quello che non trovavano più dove sono nati.
La storia di Yassine Rachik è davvero emblematica, così come epica è stata la sua lotta per tenersi la medaglia di bronzo, senza cedere ai crampi e alla rimonta dello spagnolo Guerra. Il corridore della Casone Noceto, nato nel giugno del 1993 ad Ain Sebaa, Marocco, è arrivato in Italia nel 2004 e da ragazzino preferiva il karatè alla corsa. Per fortuna a Castelli Caleppio, provincia di Bergamo, sud del lago d'Iseo, sulle sponde del fiume Oglio, Arrigo Fratus ha scoperto le sue qualità e infatti ha galoppato vincendo quasi sempre: 26 titoli giovanili in 7 specialità diverse della corsa, dai 1500 alla maratona. Vinceva, ma non era ancora italiano a tutti gli effetti, i titoli erano riconosciuti dalla federazione di atletica, una delle prime a credere nell'apertura ai giovani che sono arrivati qui chiedendo soltanto di poter dimostrare quello che valevano, nel lavoro, nello sport, in una esistenza mai facile.
Finalmente, nel giugno del 2015, dopo una petizione firmata da ben 22mila persone, Rachik è diventato italiano e con la maglia azzurra, un mese dopo, ha vinto il bronzo agli europei under 23 sui 10mila metri. Ma per Alberto Colli, il suo allenatore di oggi, la sua vera vocazione era la corsa lunga, la mezza maratona, la battaglia sui 42 chilometri. Aveva ragione.
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