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Il re dei telecronisti vittima del razzismo fake

Voce degli azzurri in radio e tv, cinquant'anni fa, a Messico '70, "inciampò" su un guardalinee etiope

Il re dei telecronisti vittima del razzismo fake

Signore e signori è Nicolò Carosio che vi parla da Bologna per la radiocronaca dell'incontro di calcio Italia-Germania.

E gli italiani pigiati davanti ad apparecchi di fortuna stramazzano con il cuore in accelerazione forzata.

Una voce nello spazio infinito e una lettera all'Eiar, l'Ente audizioni radiofoniche, la convocazione a Torino per un provino e il primo show davanti alla Commissione dove inventa su due piedi un immaginario derby fra Torino e Juventus che non si è mai giocato. Funzionari sbalorditi, non se la sentono di fermarlo, la cronaca è avvincente, si ritrovano a fare il tifo, imprecano per un palo e un gol annullato, finisce 5-5 fra gli applausi.

È solo un impiegato di 25 anni della Shell che vive a Venezia, alla domenica va sui campi di calcio della periferia e fa pratica in solitario improvvisando la cronaca della partita. Ha un timbro di voce solenne e austero che scatena anche i cervelli minori con quelle pause che proiettano sul campo l'ascoltatore e gli bloccano il fiato, telecinesi allo stato puro. Il debutto radiofonico di una cronaca di calcio è suo, esordio a Bologna, primo gennaio 1933, Italia-Germania 3-1. E i Mondiali del '34 e del '38 entrano nelle case degli italiani con la radio che ti fa vedere.

Laureato in legge, papà ispettore delle dogane e mamma inglese musicista, risoluto al punto da pagarsi un viaggio a Londra per imparare dalle radiocronache della Bbc come si commenta un incontro di football. La voce e poi una intelligenza stratosferica che gli consente di dribblare ogni ostacolo, il regime proibisce la terminologia anglosassone anche nel calcio e lui si allinea, rete, traversone, calcio d'angolo, fuori gioco, ma l'aplomb è britannico, mai un cenno emozionale che lo disturbi e un quasi gol che distrugge l'arredo della sala con quella voce stentorea perfettamente allineata alla comunicazione dell'epoca. In tempi senza numeri sulle maglie si fa presentare i giocatori che scenderanno in campo per poterli riconoscere, va nei loro alberghi e nei ritiri, memorizza i volti, studia i sistemi di gioco delle squadre. Arriva la televisione che potrebbe smascherare quel paradiso di bugie alle quali spesso ricorre per rendere elettrizzanti anche le partite più insipide ma video kill the radio star con lui non funziona, è il libro del nostro calcio. La prima telecronaca è un Italia-Egitto 5-1 a Milano sotto la neve il 24 gennaio 1954 e lui infagottato sotto un cappello di peltro. Elegante, composto, fini baffetti da lord, cappello, una sciarpa, sistemato a bordo campo circondato da fili, mai un commento tecnico ma sciabolate quando servono. L'Italia va a Belfast per giocarsi la qualificazione al mondiale del '58 al Windsor Park contro l'Irlanda del Nord, 4 dicembre 1957, destino amaro e giornata epica. Campo privo di dignità, una distesa di fango, non si vedono neppure le linee, nebbia fittissima, l'arbitro ungherese Istvan Zsolt perde la coincidenza aerea e non si presenta in orario, i nostri decidono di giocarsela ugualmente con un direttore locale, un certo Mitchell preso in prestito, a patto che abbia solo il carattere di una amichevole. Finisce in parità 2-2 ma a fine gara i tifosi irlandesi entrano in campo e prendono a calci e pugni gli azzurri. Rino Ferrario, detto Mobilia per la sua mole, finisce sotto a quattro o cinque tifosi, si difende, scappa, perde il senso dell'orientamento, non trova la via degli spogliatoio, altri vengono tratti in salvo dai nostri dirigenti, calciatori inseguiti, caccia all'uomo, risse gigantesche, animosità inspiegabile forse dettata da risentimenti religiosi, loro protestanti, noi papisti. Nicolò imperturbabile a bordo campo non abbandona la postazione e declina la sua soluzione: cosa aspettano a intervenire i poliziotti! Quattro randellate ben date e tutto si sistema.

Amato dai giocatori anche quando li bacchetta, Gianni Rivera a terra dopo un fallo: alzarsi e correre. Corso gigioneggia: Mariolino basta veroniche, sostanza. Gigi Meroni dribbla: tagliarsi i capelli altrimenti non vedi la palla. Prima di una telecronaca in una serata gelida si lascia sfuggire un commento che lo timbra come bevitore seriale: notte da whiskaccio. Ma Bruno Pizzul, uno dei tanti a cui Carosio ha girato benevoli consigli, racconta: mi disse che poiché il telecronista è soggetto a critiche, e lui era spesso accusato dai tifosi, è bene che lasci intendere di aver bevuto un goccetto per giustificare i suoi errori. Peraltro non disdegnava affatto un bicchierino e non ne faceva mistero.

È tutta roba sua fino al mondiale del '70 in Messico quando cade trafitto da una insensata accusa di discriminazione razziale nei confronti di un guardalinee. La partita si gioca a Guadalajara l'11 giugno fra Italia e Israele quando viene annullato un gol, peraltro validissimo, a Gigi Riva per fuori gioco inesistente. Nicolò, sempre con voce cadenzata e senza accenti chiede agli italiani: ma cosa vuole questo etiope? Seyoun Terekegn peraltro è effettivamente un guardalinee etiope. Capirai. Viene giù l'universo, ha detto negro o addirittura negraccio? Immediata la reazione dei funzionari Rai che lo richiamano in patria, solo la solidarietà degli altri cronisti lo impedisce: se torna lui, torniamo in Italia tutti. Ma gli vengono tolte le telecronache della nostra nazionale che passano definitivamente a Nando Martellini. È successo che l'ambasciatore etiope a Roma l'ha messa giù durissima e ha inviato una protesta formale al nostro ministero degli Esteri chiedendo sanzioni immediate, non ha seguito la telecronaca e si è basato su commenti di altri che hanno fuorviato l'evento e il suo giudizio. Dice che è rimasto profondamente scosso. Si riferisce alla radiocronaca che la Rai ha affidato a Enrico Ameri, e a una lettera che un ingegnere etiope residente a Roma invia al Messaggero: sono rimasto profondamente colpito dagli epiteti rivolti al guardalinee etiopico, in particolare dalla frase il Negus si è vendicato, ripetuta più volte dal radiocronista e da altri commentatori. Frase che viene invece pronunciata da Antonio Ghirelli, direttore del Corriere dello Sport, nel dopopartita. La registrazione di quella radiocronaca è sparita dagli archivi Rai. Non quella della telecronaca. Cosa ha detto veramente Nicolò Carosio da irritare tanto? Riavvolto il nastro ecco cosa si sente mentre scorrono le immagini di Gigi Riva che esulta braccia al cielo dopo il gol nel commento di Nicolò: l'arbitro ha convalidato il punto... ma il guardalinee no, niente convalida... ma siamo proprio sfortunati! E prima ancora, su una prodezza di Enrico Albertosi che salva un gol su incursione dell'israeliano Mordechai Spiegler in posizione palesemente irregolare: fuorigioco netto lasciato correre dall'etiope.

Altro non si sente, l'accusa a Carosio è quella di aver dato dell'etiope a un etiope, prima vittima illustre di intolleranza razziale nel nostro calcio. Peraltro innocente per quanto risulta a fronte di una minuziosa ricostruzione di alcuni giornalisti Rai che hanno dedicato ore di lavoro per recuperare la verità su un episodio che lascia tutt'ora margini a diverse interpretazioni.

Magari il tono in cui venne pronunciato il termine etiope da Carosio o più probabilmente la sensazione che avesse ormai fatto il suo tempo in un momento di grandi rivolgimenti sociali nel mondo, e la Rai non vedesse l'ora di coglierlo in difetto, lui figura ancorata a un'Italia preda di un regime dittatoriale.

Nicolò Carosio ci ha lasciati a Milano il 27 settembre 1984 dopo un lungo ricovero per una crisi respiratoria, tumulato nel colombaro del Cimitero Monumentale dopo aver commentato per 37 anni le sfide della nostra Nazionale.

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