Marcello Di Dio
nostro inviato a Firenze
Il suo primo ingresso a Coverciano lo fece quarant'anni fa. Roberto Mancini era poco più che un ragazzino, il selezionatore di quell'Under 14 si chiamava Lupi. Poi l'ultimo ritiro, tre lustri più tardi, quando chiuse la sua carriera azzurra con Sacchi che gli preferì Zola nell'avvicinamento alla rassegna iridata del 1994. «Vuol dire che vincerò il Mondiale da ct», disse qualche tempo dopo aver lasciato la Nazionale.
Ed eccola l'occasione, il sogno di una vita che si avvera. Lui in giacca e cravatta «federale» a sedere nell'aula magna di Coverciano davanti a flash e telecamere proprio nel giorno dei 108 anni dalla gara d'esordio dell'Italia. Una ricorrenza che aggiunge ulteriore fascino all'avventura che il Mancio ha fortemente voluto. «Diventare allenatore della Nazionale non è una cosa banale, sono emozionato...», le prime parole del nuovo ct, provato da un lunedì vissuto in apnea tra il viaggio all'alba per tornare dalla Russia alla firma del contratto all'ora di cena.
Emozione e orgoglio sono i sentimenti più forti per il tecnico chiamato a far risorgere la Nazionale. «Ci sono momenti della carriera nei quali si fanno delle scelte, io alleno da tanti anni e questo era il momento giusto anche se il più difficile, dobbiamo riportare l'Italia sul tetto del mondo e dell'Europa, dove merita di stare, e riavvicinarla ai tifosi», così il Mancio. Emozionato ma anche ambizioso, come dimostra la sua carriera di allenatore che lo ha portato ad alzare trofei in cinque squadre.
Con lui la Federcalcio tornerà a un ct nel quale l'aspetto del selezionatore sarà prevalente su quello dell'allenatore. Niente stage («se non per vedere qualche giovane»), rispetto per i club e per i calciatori («giocano e viaggiano già tantissimo») e nessuna pretesa di diventare il coordinatore di tutte le Nazionali. Mancini convocherà chi sarà in forma in quel momento senza guardare alla carta d'identità, puntando comunque su un mix giovani-senatori per una Nazionale del coraggio e del cuore. «Se i vecchi come De Rossi saranno ancora i migliori quando dovremo giocare partire importanti verranno chiamati. Anche in momenti difficili in Italia si trovano calciatori di qualità», così il nuovo ct. Che non fa anticipazioni su moduli o idee di gioco: «I calciatori in campo sono sempre undici, prima li conoscerò, poi certo adatterò le mie idee a loro, l'importante è che tirino fuori i sogni che hanno nel cuore».
Per Mancini un contratto biennale con opzione di altri due anni in caso di qualificazione all'Europeo, ingaggio di 1,7 milioni a stagione comprensivo di diritti di immagine del ct concessi ai principali sponsor della Figc più bonus di un milione per l'accesso a Euro 2020 e «premialità» legate ai risultati. In pratica, un quadriennale che farà storcere il naso a chi (Gravina, Sibilia e Tommasi) era d'accordo con il nome di Mancini ma avrebbe preferito essere consultato, e oggi porterà al commissario Fabbricini le firme per chiedere l'assemblea elettiva ad agosto. Del vecchio staff Mancini avrà Salsano e Gregucci e forse, a gettone, il preparatore atletico Carminati. In attesa di avere anche Pirlo.
Due i nomi su cui si concentra l'attenzione nel suo debutto da ct (sabato le prime convocazioni per le amichevoli con Arabia Saudita, Francia e Olanda). In primis Balotelli, assente da 4 anni dall'azzurro, che potrebbe essere il suo tallone d'Achille: «Vogliamo rivedere quello del 2012, ora ha anche dei figli, credo sia maturato». Poi Buffon, ancora restio se concedersi un'ultima passerella azzurra il 4 giugno a Torino: «Parleremo anche con lui, ci adatteremo a quello che deciderà di fare».
L'avventura è iniziata,
Mancini ringrazia tutti i suoi allenatori («in Nazionale ne ho avuti tre, Bearzot, Vicini e Sacchi») e cita uno dei suoi maestri, Vujadin Boskov: «Lui diceva: dove gli altri vedono il sentiero, Mancini vede l'autostrada...».
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