«Restringere il campo lasciare loro il torello e puntare sui bassotti»

Mangia e Allegri: "Così si possono limitare i danni". Suarez sferza Prandelli: "Fai giocare El Shaarawy"

«Restringere il campo lasciare loro il torello e puntare sui bassotti»

I precedenti non ammettono dubbi e sono i seguenti: tre sfide sistemate nell'ultimo anno solare, due a livello di Nazionale maggiore, uno, qualche giorno fa, in Israele, nella finale dell'europeo di under 21. I risultati: un pareggio (1 a 1) e due sconfitte pesantissime, 4 a 0 a Kiev, 4 a 1 a Gerusalemme. Pronostico scontato, allora se i numeri e le carte, antico metodo d'indagine calcistica ideato da giuanbrerafucarlo, concordano. Eppure il calcio è forse l'unico sport nel quale non sempre i più forti sono quelli che vincono: capitò al Brasile del 1950 contro l'Uruguay, può capitare anche alla Spagna del 2013, arbitra l'inglese Webb, una garanzia dopo il disastro dei suoi colleghi. Sembra persino inutile indagare sulle differenze. Per esempio Devis Mangia (da Cernusco sul Naviglio), ct finalista, ne sottolinea un paio che scavano un fossato chilometrico tra i due movimenti. «Le nazionali in Spagna sfruttano e raccolgono il frutto del calcio esibito dai club, da noi i club remano contro-corrente, a parte qualche eccezione tipo Juventus e Fiorentina» ecco la prima. Seconda differenza: «L'inesperienza lampante dei nostri vuol dire che per gli azzurri la finale dell'europeo è stata la partita più importante giocata in carriera, gli spagnoli avevano tutti una bella striscia di partite della Champions da esibire». D'accordo ma adesso come si fa a non lasciarsi spianare dall'armata di Del Bosque? «Noi ci comportammo così: restringemmo il campo a 30-35 metri» la strategia adottata. Servì francamente a poco. La sensazione finale è malinconica: «Soffriamo fisicamente perché ci alleniamo e giochiamo a ridotta intensità». Sembra Arrigo Sacchi e invece è Mangia pronto a offire un altro piccolo esempio di strategia semi-vincente. «Vi ricordate come giocò a San Siro il Milan di Allegri nel secondo tempo? Ecco: quella può essere la strada».
Allora è il caso di rispolverare l'Allegri pensiero prima del Barcellona, sfida di Champions league, sfida di andata, quando i due squilli di tromba di Boateng e Muntari portarono alla luce le prime crepe sui muri dell'armata catalana. Il livornese predicò pazienza innanzitutto che vuol dire non arretrare e basta o assecondare il palleggio ma evitare di farsi stordire dal loro torello gigantesco. Poi sistemò i suoi centrocampisti e Ambrosini, in modo da «chiudere tutte le traiettorie di passaggio» verso Messi, Xavi e Iniesta. Infine la seconda parte. In quei giorni Allegri raccomandò ai suoi, Niang ed El Shaarawy in particolare: «Andate alla ricerca degli spazi lasciati liberi dai difensori che avanzano per far numero con i centrocampisti». Al Milan andò bene una sera, poi fu rovesciato al Camp Nou e sul palo di Niang si spense ogni speranza di impresa storica.
Ma qui si gioca una sfida secca e non c'è possibilità di rimediare. O l'Italia sorprende la Spagna e il mondo intero, oppure si chiude baracca e burattini. E non solo per l'assenza di Balotelli e di Pirlo. «In questo momento cifra tecnica e condizione fisica sono tutte dalla parte degli spagnoli»: il giudizio di Luis Suarez è una sorta di sentenza senza appello, appesantito, da una stoccata, «anche perché i giocatori di maggior affidamento in campo azzurro sono al di sotto del loro standard». E qui ogni riferimento a Buffon è voluto. Siamo allora senza scampo, a sentire don Luis orgoglioso esponente di una generazione di «catalani» (8 su 11) offerti alla famosa nazionale delle furie rosse. «Gli altri tre erano: Di Stefano, Gento e uno del Bilbao.

Bene: questi sono più compatti e completi di noi» manda a dire il Pallone d'oro del '60. Forse è il caso di ascoltarlo anche quando tira le orecchie a Prandelli. «El Shaarawy abbina gioventù e tecnica: come fa a tenerlo fuori, nella Conferations cup che non è il mondiale?». Già, come si fa?

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