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Il ribelle Long John. Una vita contro

Gol, risse, insulti, polemiche, eccessi e guai giudiziari di un simbolo della Lazio che compie 120 anni e sogna in grande

Il ribelle Long John. Una vita contro

Tor di Quinto, 12 maggio 1974, Lazio campione d'Italia, interno. Tavolata di tutta la squadra, eccitazione adolescenziale, ognuno racconta qualcosa, Luigi Polentes si è comprato un orologio nuovo alla gioielleria di Gigi Bezzi, lo fa girare, bello, sì sì, proprio bello, complimenti. Long John dice: fa vedere... e se lo mette al polso, poi legge infrangibile, ride, tutti ridono, allora se lo toglie e lo appoggia sulla tovaglia, prende un coltello per la lama e batte forte il manico sul quadrante, il vetro va in frantumi. Di colpo silenzio: «T'hanno fregato, gli fa a Polentes, vedi, non è infrangibile» e scoppia a ridere.

Quanto ci manchi Giorgione, puro e vero, distruttore del falso in un mondo di quasi tutti ipocriti, se uno è scarso è scarso e bisogna dirlo, non è coraggio, è la verità, e la dicevi con quella testa incassata nel collo piegata da un lato. Bullo per indole, grande e grosso per natura, emigrante innocente, Galles, serie B, quando torna da noi è uno di Carnaby Street, giacca di velluto, camicia colorata, pantaloni attillati a tubo, stivaletti, basettoni, capello lungo. Diciannove anni, bocciato, il presidente dello Swansea Glen Davis fa: quell'italiano... come si chiama...sì sì, Chinaglia. Bene, quello non diventerà mai un calciatore professionista, non è portato, troppo grosso, meglio per il rugby. E gli sbatte il cartellino in faccia. Era partito a sei anni dalla casa di nonna Clelia a Montecimato quasi Carrara, solo, su un treno con un cartellino al collo come le bestie, nome, cognome e indirizzo della destinazione, 111 Richmond street, Cardiff, Wales. Lì c'è il resto della famiglia, di mattina gioca a rugby, seconda linea, al pomeriggio calcio, centravanti.

Torna quando la Massese lo tessera per 250 mila lire al mese, l'Internapoli picchia 100 milioni sul tavolo, la notizia gli arriva quando sotto leva è su un banco di marmo in punizione per aver messo le mani addosso a un sergente. Ma all'Internapoli conosce Pino Wilson, mezzo inglese, un amicone, la Lazio li prende in un colpo solo. La sua storia inizia qui.

Lui e Wilson da una parte, Luciano Re Cecconi e Luigi Martini dall'altra, due bande armate, spogliatoi separati, se per caso sbagliavi porta ti arrivava una bottigliata in faccia, Felice Pulici la evita per un pelo, botte senza pietà durante le partite di allenamento, in gara una squadra di cemento a presa rapida, la Lazio. Chi tradiva aveva chiuso. E una volta si sono messi a sparare per davvero tutti assieme dalle finestre dell'Hotel Americana alla vigilia di un derby. I tifosi della Roma si erano messi a far casino per disturbarli durante la notte, è partito qualche colpo, tutti spariti. Wilson è il padrino, Long John il supremo, la Lazio è mia, cosa mia, fa, e prende a calci nel sedere Vincenzo D'Amico a San Siro perché non ha fatto pressing su Alessandro Mazzola, fa a cazzotti con Martini, tenta di strozzare l'arbitro Menicucci, non ci riesce, lo rincorre per prenderlo a ombrellate, attacca al muro un dirigente perché ritarda gli stipendi, si sposa, divorzia, si risposa, indagato, processato, prosciolto, spacca difese, un bisonte che vuole sempre vincere, chi non gli passa la palla finisce sul taccuino. A Monaco manda a quel paese due volte Valcareggi (nella foto) perché lo sostituisce con Pietro Anastasi durante Italia-Haiti al mondiale, il braccio destro che accompagna il labiale. Bufera. Chi pensa di essere? Mai sostituito nella Lazio? E allora? È solo un disadattato irrecuperabile, commenta Franco Carraro. Il gesto è da maleducato, in mondovisione e va su tutti i giornali, ma aveva ragione. Il ct si era intestardito e aveva messo dentro contemporaneamente Sandro Mazzola, Luigi Riva, Gianni Rivera e lui. Non funziona, Long John gioca da schifo ma non è lui il peggiore, però paga lui. Tommaso Maestrelli vola in Germania, gli chiede di scusarsi pubblicamente, non esiste, gli risponde, e non devo farlo per la Lazio che qui non è rispettata, dovevamo esserci almeno in sette, invece due fanno panchina e io vengo sostituito. Il suo mondiale del '74 si chiude qui. Ma poi si prende una rivincita che entra nella storia, in un colpo solo sistema Italia e Inghilterra a Wembley davanti a quarantamila emigrati che gli inglesi chiamano camerieri. E lui l'ha fatto il cameriere al Mario's Bamboo restaurant di suo padre. All'88' va via sulla destra a modo suo, ingobbito, testa giù, quando arriva sul fondo la butta in mezzo, Peter Shilton va in presa bassa, gli sfugge, area piccola, c'è lì Fabio Capello a un metro, la mette, 1-0, prima vittoria dell'Italia contro l'Inghilterra.

Ma lo chiamano fascista. Un tifoso della Roma un sabato sera lo insulta. È al cinema Gregory con tutta la squadra, lui aspetta che si spengano le luci e poi gli si piazza dietro la poltroncina, gli batte due dita sulla spalla, il tifoso si gira e gli arrivano un destro e sinistro che lo sprofondano sulla mouquette della sala. Mi dicono che sono fascista solo perché vado al poligono con una 44 magnum a esercitarmi, tutta la Lazio la chiamano fascista, anche Martini e Re Cecconi girano armati e fanno paracadutismo con quelli della Folgore e allora? Io di politica non c'ho mai capito niente, destra, sinistra, centro, per me sono la stessa cosa, ma mi piace Giorgio Almirante, uno fuori dagli schemi, mi piace come parla, non so se è un tifoso della Lazio, ma mi sembra proprio come noi, forte, aggressivo, sfacciato, fuori dal Palazzo, e lo voto.

Ma in politica poi ci si butta, due volte, con la Democrazia Cristiana alle regionali e alle europee, niente da fare, ci riprova con i Popolari, bocciato. Va in America, i Cosmos di Edson Arantes do Nascimento lo ricoprono di dollari, lì c'è il business, in nove anni di Nasl segna 231 gol in 234 partite ma quel cimitero di elefanti del soccer non decolla, adesso ha i soldi, è ricco, e ritorna in Italia per la seconda volta. Guai infiniti, casini a Foggia, presidente alla Lazio, paga tutti i debiti, la vuole la meglio squadra del mondo, le ha fatto vincere quasi da solo uno scudetto, la riduce con le pezze al sedere da dirigente, un amore viscerale, sbaglia ogni volta sempre di più, un'indole incapace di controllarsi che lo porta a strafare, generoso e inviso nelle stanze che contano con un progetto dissennato di grandezza. Paga e paga pesante la sua idea di libertà assoluta. È scappato dalla Lazio con un piede in serie B ma i tifosi non smettono di amarlo: agisco con il cuore, fa, e questo non è sbagliato nel mondo del calcio, voglio troppo bene alla Lazio, per me questa è normalità. Unico, dinastia di uomini che non tornano, lo sguardo malinconico e gli occhi da buono, ha costretto i cronisti a raccontare cose che nel nostro calcio non erano mai successe, caudillo di una squadra trasgressiva che giocava contro tutto, scandalizzava e vinceva.

Di notte in giro per Roma sulla Jaguar e la giacca con le frange, I'm a football crazy, il primo aprile 2012 a Naples, piccola cittadina della Florida, la morte improvvisa per infarto cardiaco, quanto ci manchi Long John.

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