Le ricette alla milanese di Conte e Maldini. È un derby di filosofie

Il tecnico vuole giocatori pronti e risultati subito Il dirigente giovani di prospettiva. Più Ibra...

Le ricette alla milanese di Conte e Maldini. È un derby di filosofie

Che Conte sia uno dei 2 vincitori del vertice di Villa Bellini (l'altro è Zhang) lo si evince più dai giocatori che l'Inter non sta acquistando che da quelli in arrivo. Per mesi, Marotta ha tessuto la trama con Brescia e Verona per arrivare a Tonali e Kumbulla. In una settimana, il più fulgido ventenne del calcio italiano è finito al Milan. Conte del resto è stato chiaro: prendiamolo pure, ma non basta. Per vincere serve altro: esperienza, carisma, chili, polmoni. Che però costano e poiché soldi non ce ne sono a sufficienza per pianificare il futuro e pensare al presente, la scelta diventa del tecnico: dentro Vidal (e Kolarov), per cominciare. Il resto si autofinanzierà: vendo uno e solo allora compro un altro.

La lista è conosciuta: Kanté ma anche Ndombele, Emerson Palmieri ma persino Darmian, e poi un quarto attaccante, perché è assurdo ipotizzare che possa essere ancora un giovane tipo Esposito o Salcedo, significa non aver capito cosa vuole Conte. Cioè Dzeko, o qualcosa di molto simile. Certo, Marotta deve prima vendere e non è che in vetrina abbia poi tutti questi fenomeni bramati dall'Europa che paga. Ecco perché nella lista dei possibili partenti (Brozovic, Skriniar e Perisic, ma anche Nainggolan, Joao Mario, Dalbert: impossibile pensare di trovare tanti polli) è finito anche Eriksen, il Signore della Scala, arrivato a gennaio per 20 milioni in anticipo di 6 mesi e da allora diventato riserva di Borja Valero e Gagliardini. Il danese, nonostante il flop, resta il giocatore nerazzurro con più appeal tra le grandi squadre (anche Real Madrid e Psg lo corteggiavano, se a fine contratto) e alla prima vera offerta, Marotta aprirà il banchetto delle trattative. Lo scopo è chiaro: vincere subito, ecco perché fa un po' ridere quell'affannoso spiegare che l'Inter 2021 non avrà obblighi di successo (12 milioni al tecnico e un'imbarcata di over 33/35 per arrivare di nuovo secondi?).

Diversa la politica del Milan, che però ingaggiando un'altra volta Ibrahimovic (ieri la firma e il primo allenamento: 7 milioni netti e la maglia numero 11) ha già fatto una clamorosa inversione a U rispetto a un anno fa, quando Gattuso (quinto e in corsa per la Champions League fino agli ultimi 10 minuti del campionato) diceva «giovani sì, ma serve esperienza», un po' come il Conte nerazzurro. Gli dissero di no, che il Milan prendeva solo giovani: lui salutò, andandosene e lasciando il contratto sul tavolo. A Pioli è andata molto meglio (nonostante il sesto posto e la UCL non sia mai stata nemmeno un'ipotesi): Maldini è stato alleato più prezioso di quanto Boban non fosse stato per Gattuso. E così, anche grazie al buon finale di stagione ha prima strappato la conferma (per lui, l'«acquisto» più importante) e poi avuto il più bravo tra i ragazzi (Tonali, appunto), ma anche il più forte e carismatico dei sempreverdi (Ibra).

Arriveranno altri buoni giocatori di ritorno (Bakayoko) o speranze da lanciare (Brahim Diaz, direttamente da Madrid), nella speranza che bastino i soldi anche per un centrale difensivo (e magari un terzino destro). A quel punto anche per il Milan, vincere cioè andare in Champions League diventerà un obbligo.

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