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"Rimettiamo l'uomo al centro dello sport"

La pattinatrice: "Altro che le medaglie, portabandiera si resta a vita..."

"Rimettiamo l'uomo al centro dello sport"

«Si impara di più dalle difficoltà che dai successi». Parola di Carolina Kostner, che, alla vigilia, domani, dei 34 anni e a 12 mesi dall'intervento all'anca, scivola leggera sui tempi di recupero: «Un anno e mezzo era l'obiettivo, non salto di gioia, ma tornerò a saltare e presto deciderò del mio futuro». Intanto è bastato spostare qualche mobile e applicare delle rotelle al posto delle lame per riprovare la sensazione di un cielo in una stanza. O di una cucina che diventa patinoire. Sui social ha postato anche una curva timida e bellissima su un lago ghiacciato. È la prima dopo un doppio lockdown, personale e globale: «Ero già ferma prima del virus; in primavera, ho vissuto, come tutti, sentimenti contrastanti: paura dell'ignoto, della malattia e riscoperta dopo una vita di viaggi di un valore diverso di spazio e tempo». Basta trottole anche in giro per il mondo: «Il mio giardino fioriva, regalandomi una speranza oltre l'ansia». Per sempre campionessa, fanciulla sulle lame a Torino 2006, signora del pattinaggio a PyeongChang 2018. In mezzo un bronzo olimpico a Sochi 2014, 1 oro e 5 medaglie mondiali, ma anche la tempesta molto imperfetta del caso Schwazer e un lungo stop «per conto terzi», per aver soltanto o troppo amato. «Credevo di aver già esercitato la pazienza, ma ne serve moltissima anche ora», sorride.

Nel lockdown, però, si è anche reinventata stilista: carbone vegetale e buccia di chicchi di caffè, sono finiti, come in una pozione magica, a dare forma ad Icenonice, una linea di abbigliamento sportivo sostenibile ed eco chic. «Ho sempre amato disegnare: conservo ancora in una scatola tutti i bozzetti che facevo da bimba. Il marchio Sagester mi ha permesso di dare spazio alla creatività e con un pizzico di fortuna del principiante, ho realizzato un sogno e capito che la vita ti sorprende sempre».

A proposito di sorprese: l'Italia ha rischiato di sfilare senza bandiera e senza inno ai Giochi!

«Credo che si debba lavorare per rimettere al centro del mondo sportivo l'uomo, professionista o appassionato, perché è formando l'individuo che si curano i problemi della collettività, cosa che mi pare importantissima in questo momento».

Parole da vera portabandiera: lo è stata due volte, ricorda quelle notti magiche?

«Portabandiera si resta a vita! A Torino 2006 fu un privilegio. Era quasi un passaggio in famiglia, dopo Salt Lake City 2002 quando era toccato a Isolde, cugina di papà. In Corea del Sud, 12 anni dopo, alla cerimonia di chiusura avevo ancora il cuore a mille».

A Torino aveva solo 19 anni: non fu mai un peso?

«Non avevo medaglie olimpiche, ma avevo vinto un bronzo Mondiale, l'anno prima, nel marzo 2005 e, un mese prima dei Giochi, anche un bronzo europeo. I Giochi non andarono bene (fu nona ndr), ma tutt'oggi non baratterei nessun sigillo con la gioia di aver portato la mia bandiera».

Che cosa le manca di più della vita di prima?

«Ho fatto un salto ad Oberstdorf questa estate, c'è un confronto affettuoso con il mio storico coach Michael Huth. Sono introversa e il pattinaggio può sembrare uno sport individuale, ma, al contrario, mi manca la dimensione collettiva che aiuta nella condivisione della disciplina e del sacrificio per realizzare qualche cosa di comune e di più alto del singolo obiettivo personale».

Domani i Mondiali di sci alpino ripartono da Cortina d'Ampezzo: che cosa significa gareggiare senza pubblico?

«Ogni atleta è diverso: qualcuno si sentirà smarrito, qualcuno più tranquillo. Il pubblico, però, ha un impatto sempre forte, ne ho parlato con papà allenatore e mio fratello campione di Hockey: credo si debbano trovare delle modalità alternative, uno smart cheering, come ho visto in alcune gare di sci, con tifosi che compaiono sui maxi schermo: l'ho trovato emozionante».

In attesa dei Mondiali di fine marzo a Stoccolma, come vede, invece, il suo pattinaggio?

«C'è un nuovo trend, un bel ricambio anche fra gli azzurri».

Salti quadrupli, sempre più difficoltà: è questo il futuro?

«Mi sono sempre battuta per il pacchetto completo che fonde insieme tecnica, espressività e creatività. In Italia lo sappiamo fare: spero non si perda mai questa visione a favore di un eccessivo tecnicismo».

Dalla val Gardena, al Lazio, dal ladino al... latino, ha scelto comunque di vivere vicino ad un lago: metti che ghiaccia...?

«Eh, Bracciano è grande e speriamo non succeda quest'anno, perché non sarei al top. Le Dolomiti sono nel cuore: è la porta sempre aperta che mi hanno lasciato i miei, quando partii ancora bambina. Questa è la prima esperienza di vita non nomade, a contatto con persone che magari sanno meno del mio mondo e me ne fanno conoscere altri aspetti».

Ma lei quando tornerà, dove tornerà? In alcune interviste ha detto di vedersi presto mamma...

«Ho detto che penso che la maternità è un sogno che voglio coronare: mi sembra naturale. Un atleta, un ballerino o un artista non possono che rinnovarsi sempre. La gara è come la vita: ci si rimette sempre in gioco. Questo è un passaggio per portare quello che faccio sul ghiaccio e in gara in una nuova dimensione, in nuovi progetti...

ma con lo stesso approccio».

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