Uno rischia di perdere l'ultima grande occasione della sua carriera fatta di pochissimi miracoli riusciti, l'altro ne sta provando uno quasi impossibile con la «tentazione» di fermarsi un po' alla fine della stagione. Bilancio in deficit per Zeman nel suo ritorno a Roma dopo 13 anni, ancora in attivo quello di Mazzarri che però fallisce sempre appuntamenti da salto di qualità.
Il boemo continua a perpetrare errori che lo hanno reso un meraviglioso incompiuto. Dopo il capolavoro compiuto a Pescara, ora sta faticando nella capitale. Il personaggio è intelligente, arguto, a volte poco diplomatico, ma è soprattutto diabolico nel perseverare nei suoi errori, senza la capacità di adattare mai le sue squadre agli avversari. La tifoseria giallorossa lo aveva riaccolto a braccia aperte, pensando al suo calcio, alla forza delle sue idee e al coraggio delle sue denunce. La gestione Zeman dopo 4 mesi evidenzia invece in maniera palese pregi e difetti di una squadra incapace di raggiungere un equilibrio.
L'allenatore boemo è orgoglioso di non cambiare mai idea, di andare avanti per la sua strada. Ma la sua intransigenza sta indebolendo la sua posizione verso la proprietà americana, che ha speso 70 milioni al netto delle cessioni; verso la dirigenza che ufficialmente lo difende ma dentro le mura di Trigoria lo rimprovera di poca attenzione difensiva; verso l'ambiente, nel quale l'effetto Zemam si è annacquato nel pantano di Parma. E poi l'empatia ormai affievolita con gran parte dei giocatori, a cominciare da Destro: l'attaccante, indicato dal boemo come il colpo di mercato di tutta la serie A (è costato alla Roma 16 milioni), ha giocato 375', di cui solo 9 nelle ultime due partite. La punta è delusa, aveva rifiutato la Juve perchè pensava di trovare terreno fertile con Zeman. È rimasto ai margini come Pjanic o Burdisso, «colpevole» di aver contestato al tecnico l'impostazione difensiva. Per non parlare dei casi De Rossi e Osvaldo, in particolare del primo che ha criticato Zeman nello spogliatoio di Torino e nel dopo partita.
Resta l'appoggio di capitan Totti («seguiamolo di più», la frase salvagente del numero 10 nella pancia del Tardini di Parma), quello di Lamela che segna a raffica forse perchè sente la fiducia del tecnico e di alcuni giovani come Florenzi, esploso alla grande e titolare inamovibile. Basterà per resistere a Roma o nuovi passi falsi con il Palermo e nel derby con la Lazio potrebbero essergli fatali? Non imparare dalle lezioni, molte e severe in carriera, è spesso un esercizio che può portare al fallimento.
Scendendo 200 chilometri più a sud, c'è un tecnico che sorride più di Zeman ma la cui squadra accusa sempre qualche stop di troppo. È bastato che si fermasse Cavani per mostrare alcuni limiti già fatali al Napoli nella scorsa stagione. L'attualità (leggi lo stop di Bergamo, che lascia a 7 il numero di punti conquistati lontano dal San Paolo, o il fatto che in trasferta la squadra non faccia gol dalla prima di campionato) dice che i partenopei non hanno il passo di Juve e Inter. E qualcuno nell'ambiente azzurro comincia a contestare al tecnico la gestione delle risorse: passi per la scelta delle seconde linee in Coppa (che finora non ha pagato, ma l'Europa League non è un obiettivo stagionale), in campionato servirebbe qualche cambio in corso d'opera.
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