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Rossi, Diego e il dolore che mette a nudo le due anime dell'Italia

Il Paese è passato dal dramma di massa di Napoli al dolore composto e muto di Prato e Vicenza

Rossi, Diego e il dolore che mette a nudo le due anime dell'Italia

Nella lunga strada quieta, alberata, ricca di presenze rade, che non è controsenso in tempo di Covid, e che porta al vecchio stadio Menti, pareva fossero tutti lì, distanziati come vuole l'ordine pubblico, in attesa del nero macchinone che trasportava Paolo Rossi: non avvolti uno sopra l'altro come sarebbe capitato a Napoli. Loro, quelli del vecchio Vicenza: vivi o qualcuno lassù. Il portiere Ernesto Galli se n'è andato poco prima di Pablito, il 29 novembre, e così Gb Fabbri, l'indimenticabile allenatore, e Giancarlo Salvi. Ma vediamoli come fossero senza tempo: Faloppa e Cerilli, Briaschi e Filippi, Marangon e Carrera, Vincenzi, Guidetti, e Giussy Farina, presidente e padre calcistico. Gruppo di un Vicenza che fu, indimenticato e che saluterà Rossi nella Cattedrale cittadina oggi centro del mondo, non solo di quel mondo. Ingresso solo per inviti. Inviti appunto, non arrembaggio di massa che disegna un'Italia più folkloristica.

Già, quale Italia ci ha accompagnato nell'ultimo mese? Diciamo dal 25 novembre, addio di Maradona, fino ad ora che il calcio si è perso un'altra faccia della sua bellezza: el Pibe genio e sregolatezza, Pablito fantasiosa essenzialità. Facce, specchi di quel che siamo: fama che si mischia alla fame di sentimenti. Abbiamo visto Napoli riesplodere tra fuochi d'artificio, ammucchiate selvagge, pianti senza mascherina, cortei senza limiti, trasgressioni al senso civico di un mondo ora diverso da quello illustrato dal suo idolo. Oggi c'è paura a baciarsi ed abbracciarsi, vivere e morire tintinnano di un suono diverso. Eppure Napoli è tornata argentina senza paura, qualcuno ha detto senza rispetto per i morti che contiamo giorno dopo giorno. Ma quella è Italia, questa è Italia. Maradona spingeva al tutto o niente e la città ha interpretato un'ultima volta la sua filosofia. Non c'era più tempo per dirsi qualcosa. O forse è vero che narrare agli altri i propri affanni toglie forza al dolore.

Ma poi tiriamo lo sguardo verso l'alto ed ecco Prato che appenderà una bandiera d'Italia ad ogni balcone, narrando così il lutto cittadino nel ricordo del figliolo che vi nacque 64 anni fa: molto intimista. Ed uno svizzero potrebbe dirci: sicuri che sia sempre Italia? Certo, la fantasiosa essenzialità di Pablito è un nostro frutto. Diciamolo con soddisfazione e convinzione. Eppoi saliamo ancora, fino a Vicenza che, in febbraio, fece di Rossi il cittadino onorario, e non lascerà zampillare fuochi d'artificio se non quelli del cuore e del pensiero. Vicenza, il Veneto, sono vive, ricche non solo economicamente, rappresentano una essenza lavorativa, non metropoli ma esistono idee e comportamenti metropolitani. Davanti allo stadio, ieri sfilavano tifosi in ordinato silenzio. In città sventolavano striscioni con la semplice scritta Rossi gol. Al Menti campeggiava un: Ciao Paolo. A Vicenza sanno bene che «uno solo no sta ben gnaca in Paradiso» (da soli non si sta bene nemmeno in Paradiso), ma accompagneranno Pablito ricordando, a noi tutti, che i grandi dolori sono muti.

Dunque ringraziamo Diego e Paolo ancora una volta: ci hanno fatto divertire e ricordato che, comunque lo si guardi, questo Paese ha facce inconfondibili.

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