«Alla Roubaix tifo Pozzato Sarebbe come rivincerla»

«Alla Roubaix tifo Pozzato Sarebbe come rivincerla»

Ha l'agenda stracolma di impegni, ma per domenica ce n'è uno improrogabile: la Parigi-Roubaix. Giorgio Squinzi, il signor Mapei, presidente designato di Confindustria, attende con la consueta passione la “regina delle classiche", la corsa più folle, anacronistica e appassionante che ci sia. La corsa delle pietre che ha reso celebre il ciclismo, ma anche il marchio della sua azienda, che dal '93 al 2002 è stata un punto di riferimento del ciclismo mondiale con 678 vittorie, ben cinque sul porfido, simbolo dell'"Inferno del Nord".
Presidente, da quando è stato nominato numero uno di Confidustra, cosa è cambiato?
«Che esco meno in bicicletta, ma presto, non appena sarà stata avviata la squadra e la macchina, vedrà che il mio spazio lo ritrovo».
Domenica c'è la Roubaix, la corsa che le ha regalato più di una gioia…
«E' senza ombra di dubbio la corsa simbolo della nostra azienda e della nostra storia nel mondo del ciclismo. E' la corsa delle pietre, delle strade sconnesse e folli, che per un'azienda come la nostra che produce prodotti chimici per l'edilizia è il massimo: non per niente i cubetti sono diventati un brand del nostro marchio».
Due volte con Franco Ballerini, due volte con Johan Museeuw, una volta con Andrea Tafi: quale di queste vittorie le sta più a cuore?
«Qella del'95 con Franco Ballerini, che ha sfatato la jella che fino all'anno prima l'aveva accompagnato. Franco fu il nostro primo corridore ingaggiato quando nell'estate del '93 entrammo nel ciclismo. Lo presi proprio perché mi aveva entusiasmato nella Roubaix di quell'anno, quando per pochi millimetri fu beffato da Duclos-Lassalle. Nel'94 arrivò terzo, vittima di cinque forature. Nel'95, finalmente, il meritato trionfo. Di Franco ho tanti ricordi, soprattutto oggi nel mio ufficio ho proprio quella pietra, simbolo di una corsa mito, che mi regalò esattamente tre mesi prima di morire nell’incidente di rally».
Poi ci fu il trionfo del'96, quello del primo secondo e terzo posto carico di suggestioni e polemiche…
«Tre atleti sul podio li piazzammo per tre volte ('96, '98, '99, ndr), ma in parata, all'interno del velodromo di Roubaix, ci arrivanno nel'96. Museeuw, Bortolami e Tafi nell'ordine. Fu una giornata memorabile. Io ero a casa, a Milano, e nel finale di corsa chiamai il direttore sportivo Patrik Lefevere e mi raccomandai di farli arrivare assieme nel velodromo, poi che vinca il migliore. Vinse il belga, che superò i due italiani e il giorno dopo fui massacrato dalla stampa perché i giornali italiani sostenevano che io avessi deciso l'ordine d'arrivo a tavolino. Niente di più falso. Lo slogan della Mapei - in quegli anni - era "per vincere insieme" e quella fotografia era l'immagine più bella. Pensai in un primo momento di lasciare il ciclismo, poi di non avere più corridori italiani nel mio team, alla fine mia moglie Adriana, responsabile comunicazione e marketing del nostro gruppo, venne nel tardo pomeriggio di lunedì nel mio ufficio e mi fece vedere una bozza di una pubblicità. C'erano i tre ragazzi tutti e tre a braccia al cielo, sul traguardo della classica del pavé e il "deadline" asciutto quanto provocatorio recitava così: "La Roubaix: è cosa nostra". Mi tornò il sorriso».
Grande anche l'ultima, quella del 2000, firmata da Museeuw…
«In verità anche quella del'99 di Andrea (Tafi, ndr) fu una gran bella soddisfazione. Anche lui vinse alla grande, dopo essersi sacrificato appunto nel'96, alla causa della squadra. Quella del 2000 la gustai in modo particolare perché Johan, proprio in una Roubaix (quella del '98) rischiò grosso, cadendo nella Foresta di Arenberg. Picchiò violentemente il ginocchio e si temette in peggio. Si parlò anche di amputazione della gamba e per un paio di gironi restammo tutti con il fiato sospeso. Poi la situazione migliorò rapidamente, ma nessuno sapeva se Johan sarebbe tornato quello di prima. La vittoria del 2000 fu la conferma che Johan era tornato».
Domenica, quindi, davanti alla tivù: per due ore almeno non c'è per nessuno…
«Già domenica scorsa mi sono eclissato per gustarmi in santa pace il Giro delle Fiandre. Per la Roubaix lo schema sarà lo stesso. E' una corsa che mi trasmette da sempre emozioni uniche. E' la gara che più ingiusta e atroce, perché basta una caduta o una foratura per gettare alle ortiche il lavoro di un anno, ma il fascino è tutto racchiuso lì, in questa sua spietata imprevedibilità. Quel giorno puoi essere anche il corridore più forte, ma se ti gira male sei fritto. Però generalmente questa corsa la vincono solo i campioni. E' la corsa della tenacia, della forza, della resistenza. E' un po' il mio modo di pensare: mai darsi per vinto».
Presidente, per chi farà il tifo domenica?
«Se ci fosse stato Fabian Cancellara, avrei fatto il tifo per lui. E' nato nel vivaio Mapei, l'ho visto crescere: è diventato un fenomeno della natura.

Alla Sanremo, nonostante sia arrivato secondo, mi ha incantato. Domenica nel Fiandre è finito ko, quindi spero in un italiano: Filippo Pozzato, anche lui è nato nel nostro vivaio. Lo volli con noi a soli 18 anni. Vederlo vincere, e un po' come vincere ancora».

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