Dopo una vita al Milan Mauro Tassotti ha dato ieri l'addio. In punta di piedi, come ha sempre fatto il tasso, così l'hanno indicato a Milanello e chiamato dalla curva di San Siro. Si è presentato nell'ufficio di Adriano Galliani e ha chiesto di rescindere, consensualmente, il contratto che lo avrebbe legato per un'altra stagione ancora. Perché da quelle parti, in via Aldo Rossi cioè, gli affetti e i comportamenti esemplari hanno ancora un grande valore. E invece Mauro ha detto basta dopo 30 e passa anni, arrivato con una piantagione di ricci in testa ai tempi di Liedholm e capace di attraversare tutte le stagioni del Milan berlusconiano. Strepitosa la sua carriera da terzino destro, da capitano in assenza di Baresi squalificato sollevò la coppa dei Campioni 1994 quando il Milan degli Invincibili di Capello prese a martellate il Barcellona del leggendario Cruyff. Al servizio del Milan quella successiva da allenatore, senza strappi al cerimoniale, accettando in silenzio anche qualche fiducia mancata. Vinse il Viareggio con la Primavera, poi fu al fianco di Cesarone Maldini e si capì che il suo capolavoro sarebbe stato fare l'assistente di Ancelotti prima e poi di tutti gli altri, fino ad Allegri che gli aveva offerto anche di seguirlo alla Juve. Mauro e invece rimase fedele alla bandiera rossonera. Quando arrivò Inzaghi restò secondo anche se defilato. In silenzio, ancora una volta.
Adesso che Shevchenko gli ha offerto di raggiungerlo a Kiev e di diventare suo vice dell'Ucraina (con Andrea Maldera), Tassotti ha detto sì e firmato l'addio al Milan. Tanto è sempre un'altra storia di amicizia e di affetti che s'intreccia in Ucraina e che ha i colori della sua patria calcistica.
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