La Samp si affida al passato Arriva Mihajlovic il duro

GenovaChi ci ha giocato insieme ne decanta le doti di leader e trascinatore. Chi lo ha avuto come allenatore lo racconta come grande motivatore e confessa che è meglio non farlo arrabbiare. Con il passare degli anni e con il cambio di ruolo, da giocatore ad allenatore, Sinisa Mihajlovic è cresciuto e maturato ma la forte, fortissima personalità è rimasta. E dopo aver scritto pagine di storia della Sampdoria da giocatore, dove Eriksson lo reinventò libero dando una svolta decisiva alla sua carriera, Mihajlovic torna nella sua Genova, là dove i tifosi lo considerano ancora un idolo. È lui l'uomo chiamato a risollevare la squadra e a sostituire Delio Rossi. Lo ha scelto personalmente il presidente Edoardo Garrone che ha deciso di attendere che Sinisa si liberasse dagli impegni con la Serbia di cui è stato Ct per due anni. Lo ha scelto perché oltre alle doti di tecnico ne apprezza il carisma e quella personalità forte che è diventata un suo marchio di fabbrica. «Un uomo vero», racconta Enrico Mantovani, ex presidente della Sampdoria che portò a Genova il Mihajlovic calciatore. «Da subito si instaurò un apporto che andava oltre l'ambito personale. Una volta per lui mi spesi in prima persona in Lega Calcio. Contro l'Atalanta ebbe un gesto di stizza e calciò la palla verso l'arbitro. Beccò 4 giornate di squalifica ma non voleva assolutamente colpire il direttore di gara. Lo conoscevo bene, e chiesi personalmente che la squalifica venisse ridotta. L'arbitro Racalbuto vedendo le immagini si convinse e la squalifica venne ridotta da 4 a 2 giornate». Aneddoti a parte è lui l'uomo giusto per la Samp? Mantovani non ha dubbi. «È bravo, ha esperienza e ha quel carattere che può servire a una squadra come la Samp di oggi».
Del resto se cresci a Vukovar, città serba che tutto ad un tratto diventa croata e ti trovi in guerra con quello che fino al giorno prima era il tuo vicino di casa, se non sei forte fai fatica a sopravvivere, figuriamoci ad emergere. Lui non aveva paura, nemmeno della bombe, da quando portava i capelli lunghi e correva sulla fascia sinistra del Maracanà di Belgrado, lo stadio della Stella Rossa, uno dei più caldi in assoluto. Là dove il capo dei tifosi era un certo Zeliko Raznatovic, meglio noto come Arkan, uno dei criminali di guerra più spietati durante il conflitto nei balcani. L'amicizia, mai rinnegata, tra Arkan e Mihajlovic suscitò polemiche e critiche intorno all'allenatore che però raccontò di come quel rapporto nacque col calcio e si consolidò fuori dal campo anche con un episodio drammatico. «Durante la liberazione di Vukovar trovò addosso a uno dei prigionieri un'agendina con il mio numero e mi chiamò. Quel prigioniero era mio zio Ivo e lui mi chiese che farne. Anche se dopo lo scoppio della guerra eravamo diventati nemici e voleva addirittura uccidere mio padre, suo fratello, gli dissi di liberarlo, non potevo vivere con quel peso sulla coscienza».
Episodi che hanno contribuito a rendere il carattere di Sinisa così forte, a volte impetuoso. Nella sua carriera non sono mancati scontri anche violenti, come gli insulti razzisti rivolti a Viera, o lo sputo rifilato a Mutu. Ma i tifosi di Lazio, Inter e Sampdoria lo hanno sempre perdonato perché lui in campo dava sempre tutto. Adesso dopo le esperienze in panchina tra alterne fortune come vice di Mancini all'Inter prima e da allenatore titolare con Catania, Bologna e Fiorentina poi, ecco la sua Sampdoria.

Domenica tornerà al Ferraris osannato da quel pubblico che non l'ha mai dimenticato. Di fronte, guarda caso, proprio quella Lazio dove approdò da calciatore dopo aver lasciato la Samp. Ma Sinisa, il duro, non tremerà. Lui non ha paura.

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