Sarri, dalla tuta ai calzoncini. La classe operaia va in Paradiso

Per il tecnico primo allenamento alla guida della Juve Il suo look nella Torino delle lotte di fabbrica anni '70

Sarri, dalla tuta ai calzoncini. La classe operaia va in Paradiso

Per collezionisti e maniaci, finalmente Sarri in tuta. Non aspettavano altro, l'uomo venuto da se stesso, il toscano figlio di Napoli, il migrante a Londra, il dopo Allegri, ha vestito, da ieri, l'abito che è diventata la sua pelle, per sentenza di popolo e di stampa. In verità trattasi di maglietta e pantaloncino tipo bermuda, con calzino a livello caviglia, tipo turista tedesco in Riviera ma l'afa opprimente consente questo abbigliamento, in attesa che venga il giorno dell'outfit da repertorio. Se anche altri sodali dello stesso Sarri si addobbano con lo stesso indumento questo non conta, è lui il depositario del costume anche se, a volte, lo porta a parole e posture scostumate. Sta a vedere che la Torino operaia ritrova il simbolo dei favolosi, si fa per dire, anni duri, quel tempo delle lotte in fabbrica, là dove la Feroce, nel senso della Fiat, si spaccava in scioperi e picchettaggi, pure Enrico Berlinguer si presentò davanti a Mirafiori tanto che Gianni Agnelli, detto, in ditta, Risula, per i riccioli dei suoi argentati capelli, intervistato da Bruno Vespa, annunciò, con la solita perfidia: «Fino ad oggi il partito comunista era visto con due prospettive: quella della speranza e quella della paura. Ritengo che, dopo quello che è accaduto a Mirafiori, la prospettiva della speranza sia scomparsa».

Ma la tuta o l'abito da lavoro di Sarri, che ha idee di popolo a sinistra, non è blu ma è nera e bianca nei colori, nel logo e nella storia, è, dunque, profumata di salario da massimo dirigente, dunque da colletto bianco ma questo ormai appartiene a un passato che non è nemmeno prossimo ma remoto.

Antichissimo è il tempo dei quarantamila tra quadri e impiegati, in sfilata nelle strade di Torino, guidati da Arisio Luigi, caporeparto di Fiat, «il lavoro si difende lavorando» era uno degli slogan contro l'occupazione delle catene di montaggio. Giorni caldissimi e non per la temperatura che era canicolare nelle piazza e di terrore nel Paese. Giorni da non dimenticare. Il calcio serve a diluire certe tensioni, oggi è un'altra storia, oggi è cronaca spicciola, oggi la lotta di classe si sviluppa su altri percorsi, interpretata da altri attori.

Oggi è un'altra tuta, i colletti bianchi e gli operai sono stati sostituiti da computer e robot, l'aria di Torino è tornata, però, pesante, il mercato dell'auto soffre di ansia, la casa madre ha cambiato anche l'insegna, da Fabbrica Italiana Automobili Torino si è fatta FCA, acronimo di Fiat Chrysler Automobiles, spostando sede e anima altrove; anche la Juventus ha mutato il logo e, addirittura la storica casacca, in nome di creativi e fornitori, ma, per fortuna, un Agnelli è tornato al commando, rispolverando glorie e onori dimenticati e, così, la squadra di football conserva, comunque, identità e tradizione.

Il look di Sarri è soltanto oggetto di futile discussione e di ingenua provocazione, tra giornalisti e tifosi; nessun simbolo di

rivolta o di sfida al capitale, come qualcuno a Napoli si era immaginato, anzi il capitalista capitale è proprio lui, Sarri Maurizio. Dentro il vestito, molto.

Sta a vedere che, finalmente, la classe operaia va in paradiso.

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