I n questi giorni, dopo 22 anni, si è consumato l'addio di Arsène Wenger dall'Arsenal. L'allenatore alsaziano ha vinto meno di quello che avrebbe meritato: 3 Premier, 7 FA Cup, 7 Charity Shields (la Supercoppa inglese). Due volte è arrivato il Double, campionato e coppa, ma dal 2004 niente più Premier. L'astinenza ha fatto esplodere il malumore del popolo dei Gunners.
La Juventus, invece, ha messo in bacheca gli ultimi sei campionati, le ultime tre coppe Italia e ha disputato due delle ultime tre finali di Champions. A quattro giornate dalla fine del campionato ha una lunghezza di vantaggio sul Napoli. Certo, la situazione è friabile, cinque punti di vantaggio sono evaporati in due partite. Ma è il calcio, bellezza.
Eppure ieri, un gruppetto di ultrà è andato a Vinovo a urlare «tirate fuori» ai giocatori. Alcuni di questi si sono fermati a parlamentare con i tifosi. Forse gli stessi che nel luglio 2014 contestarono l'ingaggio di Allegri o che nell'autunno 2015 andarono a pungolare la squadra per il disastroso avvio di stagione. C'è qualcosa di irreale, di grottesco in tutto ciò. Come si fa a prendersela con una squadra che domina da quasi sette anni? Certo l'assioma bianconero vincere è l'unica cosa che conta non aiuta. Andrebbe chiosato con però esistono anche gli avversari.
I tifosi delle altre squadre godono, ma non si comporterebbero molto diversamente. Questo modo esasperato e spesso violento, in parole e opere, di vivere il calcio, ahinoi, è un patrimonio comune. Ed è quello che ci rende marginali.
Già ai ragazzini insegniamo a essere schiavi del successo a tutti i costi, come testimoniano le storie che giungono dai campetti di periferia. E se la Juventus perdesse scudetto e coppa Italia? Vincere tanto dovrebbe rendere meno amara la sconfitta, che prima o poi è destinata a manifestarsi, non il contrario.
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