Dalla serie A grandi maestri e falsi profeti

di Tony Damascelli

S i può scrivere e parlare di cholismo. Di guardiolismo. Adesso, anche, di zidanismo. Perché no di ranierismo? Perché non fa fine, perché non fa football, non fa tendenza per il futuro. Meglio lo spettacolo, il possesso palla, la transizione e la densità. Ci sono quelli che si presentano puntuali all'appello, senza ricorrere alle giustificazioni scritte, Simeone è uno di questi, poi Zidane al ballo dei debuttanti, Guardiola comunque e Ranieri da sempre ma una volta sola, in campionato, da vincitore che, per il lessico ormai in voga, è una cosa diversa da vincente. Quando costoro parlano, trovano consensi ma anche critiche, contestazioni, pareri discordi se non opposti.

Poi arriva il profeta boemo e ritorna l'incantesimo. Zdenek Zeman è ultimo anche in Svizzera, il Lugano ha una delle peggiori difese, per numero di gol incassati (71 in 31 partite), di tutti i cantoni, del resto d'Europa e del mondo ma si scrive e si parla ancora di zemanlandia, di un mondo, di un modo e di un verbo unico, indiscutibile, irripetibile. Sarà anche così, i predicatori hanno successo ovunque, nel calcio, poi si moltiplicano come i pani e i pesci, bastano un paio di frasi ad effetto, basta costruirsi l'immagine e il gioco è fatto. Non il gioco del football che è un'altra cosa, più ardua di quella delle parole.

Riassunto: Simeone e Zidane, vecchie glorie della serie A nostrana, se la giocano come migliori d'Europa, Ranieri, figlio di Roma, vince in Inghilterra e Zeman, ex italiano, oggi a Lugano, croissant e cioccolata, continua la sua SuperLeague, sicuro che qualcuno crederà ancora alla sua kafkiana idea del calcio. Basta saper scegliere.

Ps: Franz Kafka, cecoslovacco, come Zeman.

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