nostro inviato a Rio de Janeiro
La testa dice che non devi dimostrare nulla. Te lo ripeti da mesi, da quando hai infilato in tasca il biglietto per Rio. Il timore però è quello solito: non ti prenderanno mai davvero sul serio. Hai 33 anni, un marito, un figlio e un suocero di quasi 60 anni con un gran passato da pugile. La tua avversaria è più alta, più magra, ma tutte e due sfiorate i 51 kg, pesi gallo. Si chiama Zohra, la coda bionda sfugge dal caschetto di protezione, non sarebbe regolare, ma l'arbitro non dice nulla. Sta piuttosto ferma sulle gambe, prova una serie di diretti destro, sinistro, destro, pari senza fatica. Si allontana, torna, ti fletti sulle gambe, lei ha un microsecondo di esitazione e il tuo montante la prende in pieno, da sotto, poi ancora gancio sinistro e diretto destro. Traballa. Tre colpi messi a segno. Zohra Ez Zahraoui è marocchina, ma sembra molto più europea di te. Questa è andata, anche se solo ai punti. Se vinci l'oro sai già a chi dedicarlo, all'uomo che sei riuscito a convertire, a quello che ti ha detto «mi hai convinto», Marcel Denis, il padre di tuo marito.
Il pugilato lo salveranno le donne. Basta vedere come si allenano, come combattono, come ci credono. Sono semplicemente più vere. Qualcuno dice che non è più la nobile arte, che puzza di falso come se il wrestling e altri combattimenti spettacolo lo avessero contaminato, che i maschi non hanno più fame, sono travet del guantone, senza grandezza, senza onestà. Non sai se tutto questo è vero, ma le donne sicuramente non fingono. Nel loro passato c'è Miss Jeanne La Mar, detta la contessa, la prima a sognare di sfidare il mondo su un ring. Erano gli anni '20 e quel desiderio è arrivato fino a qui. Qui a Rio sta combattendo Irma, Irma Testa, con i suoi diciott'anni e un po' di paura. Il suo allenatore racconta che non ha mai combattuto così male, però vince e per tutto il tempo danza, colpisce e punge. «La boxe mi è entrata dentro. Se salto un allenamento mi manca l'aria. Ho bisogno dell'odore dei guantoni, del sudore della pelle, delle grida prima dei pugni. La boxe è la mia certezza».
Non solo la sua. Questa, che intanto stiamo raccontando, è la storia di una ragazza francese che ha combattuto prima di Irma. Eccola. Sarah Ourahmoune ha le sopracciglia folte che spesso sanguinano, come Bruno Arcari. E' veloce, tecnica, coraggiosa, i suoi cazzotti li senti anche qui a bordo ring. Senti i passi, il sudore che scende lungo il collo, la voglia dimostrare che questo è sport non vaudeville. Seconda di sei figli. E' di Seine-Saint- Denis, banlieue regale, con la basilica gotica che accoglie le spoglie dei re di Francia. Combatte da quando ha 14 anni. Nel 2008 diventa campione del mondo. Si innamora, si sposa, si allena, ma non riesce ad andare a Londra. Nasce il suo bambino. Smette. Come può una madre tirare di boxe? E' quello che gli ripete anche suo suocero. Solo che dentro resta qualcosa di incompiuto. «Il ring è come la vita. Se stai all'angolo ne esci solo tu. Qui sopra non puoi nascondere chi sei realmente. Se stai male sul ring si vede, se stai bene, uguale, è la stessa cosa. Puoi fingere, mettere una maschera quando sei fuori, non qui, qui sei solo te stessa. Allora ti vai a cercare. Rio è una scommessa. Non vuoi avere rimpianti. Quattro anni di fatiche in casa, in palestra e fuori. Si può essere madre e moglie senza rinunciare alla vita, come in qualsiasi lavoro. Il suocero all'inizio non ne è convinto. Pensa che il pugilato sia troppo violento per le donne e poi non hanno tecnica, non sono credibili. Sarah lo invita a seguire gli allenamenti. Marcel Denis passo dopo passo, giorno dopo giorno, si convince. E' lui a dirle: vai.
«So che se non fossi stata all'altezza Marcel me lo avrebbe detto, senza pietà». La verità è questa. Nella boxe contano grinta, coraggio, capacità di soffrire e stringere i denti. Tutte cose che le donne si portano sulla pelle da sempre.
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