Un gol a Rio de Janeiro e uno a Salvador de Bahia. Non in spiaggia. Ma su campi di calcio veri e propri. Indossando la maglia dell'Italia. Il primo, contro Haiti in amichevole, è entrato dritto nella storia essendo arrivato dopo soli 19 di gioco: mai nessuno aveva fatto meglio. Il secondo, addirittura contro il Brasile in un match di Confederations Cup: azzurri sotto 0-2, destro di Giak e match riaperto. Scusate se è poco, per uno che fino a pochi anni fa manco sapeva se avrebbe potuto continuare a inseguire il sogno di fare il calciatore professionista. Emanuele Giaccherini corre da sempre contro tutto e tutti: siccome però non si ferma mai, alla fine ha ragione lui. Pare la storia di Calimero, quello che nella pubblicità di qualche anno fa nessuno voleva: pian piano, grazie a Conte e Prandelli ma anche (soprattutto) a Bisoli che lo ha difeso e lanciato ai tempi del Cesena, si sta tramutando in quella di Giaccherinho. «Uno che, fosse nato in Brasile, lo avremmo strapagato - ha ribadito più volte il tecnico campione d'Italia -. Finché ci sarò io, lui non lascerà la Juventus». Poi, a dire il vero, non è che il ragazzo nato a Talla, in provincia di Arezzo, sia uno dei punti fermi della Signora: sedicesimo giocatore utilizzato quest'anno da Conte (1283' complessivi: 25 presenze, di cui 12 da subentrato), ha però il pregio di lavorare come un matto e di farsi trovare sempre pronto. Serve un interno di centrocampo? Eccolo. Un esterno capace di saltare l'uomo? Perfetto. Uno che la butti dentro o che comunque veda la porta? Accomodatevi. Come quest'anno contro il Catania, in una partita che la Juve non riusciva a sbloccare manco con le cannonate: dentro Giak, un errore clamoroso per cominciare e poi il gol in pieno recupero, il Napoli sbattuto a -9 e lo scudetto pressoché in cassaforte.
Poi, la Nazionale. Secondo tanti, un regalo immeritato e magari frutto dei poteri forti che fanno rima con Juventus. Come Conte, però, anche Prandelli fa spallucce: uno così, ficcatevelo in testa, meglio averlo dalla nostra parte perché sai che per la causa sarebbe disposto anche ad andare sulla luna. O, almeno, a provarci. Assist di Balotelli, destro di Giaccherini: al Brasile di Neymar e, se è un sogno, non svegliatelo. Nel 2008 giocava in C2, qualche anno prima aveva anche temuto di dovere dire addio al pallone a causa dell'asportazione della milza e, insomma, siamo di fronte alla classica favola con lieto fine: genitori in cassa integrazione, chi se ne frega delle macchine di lusso e un grazie grande così a papà Roberto (alto 158 cm) e mamma Patrizia (180) per avergli permesso di inseguire il suo sogno. Lui, dal basso del suoi 167 cm e quel soprannome di «Messi di provincia» che lo fa arrossire al sol pensiero, si è intrufolato prima nel mondo della Juventus e poi in quello azzurro. Non ha rubato niente a nessuno, però: semplicemente, ha risposto «presente».
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