Insulto razzista a Evra, morso a Bakkal, morso a Ivanovic (dieci giornate di squalifica), schiaffo a Luque, vaffa a Van Basten (suo allenatore nell'Ajax), simulazioni e litigi a go-go. Luis Suarez non è certo il personaggio più amato nel panorama calcistico internazionale. In più non si coccola la stampa, né regala materiale piccante ai tabloid. Per lui conta solo il campo, dove ha pochi rivali. Con l'Uruguay è riuscito dove Recoba aveva fallito: riportare la Celeste ai vertici del calcio mondiale. Lo ha fatto a modo suo, a suon di gol (la Copa America vinta nel 2011, che lo ha visto premiato quale miglior giocatore del torneo) e controversie, vedi la "parata" in Sudafrica nel quarto di finale contro il Ghana che ha spianato la strada all'Uruguay verso la semifinale. Non è finita. Quest'anno in Confederations Cup Suarez, a segno contro Spagna e Tahiti, è diventato il maggior goleador della storia dell'Uruguay. Un bottino, 35 gol, che intende incrementare ulteriormente nella finalina contro l'Italia.
L'Italia, già. Fosse nato una decina di anni prima, la sua destinazione naturale sarebbe stata la Serie A. Oggi la storia è diversa. Ci ha provato la Juventus, ma di soldi ce ne volevano davvero tanti. Finirà al Real Madrid, dove figura in cima alla lista della spesa stilata da Carlo Ancelotti. Una cosa è certa: della Premier League ne ha piene le tasche. Nel Liverpool ha disputato una stagione strepitosa, con una media reti simile alle sua annate "olandesi". Come giocatore dell'anno però gli è stato preferito Gareth Bale. Questione di immagine, non c'è (e non può esserci) nient'altro. Per Suarez ogni partita è una sfida, ogni momento può essere quello giusto. Lo ha imparato nelle strade di Montevideo, dove viveva con la nonna materna dopo il divorzio dei genitori, quando non poteva permettersi nemmeno un paio di scarpini per giocare nel Fc Urreta, una squadretta locale.
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