La svolta Mancini manda al Diavolo i piani di Inzaghi

Saltano il tridente per la difesa a tre e la gabbia per Kovacic. Servono contromosse per Guarin. E resta il dubbio Menez-Torres

Roberto Mancini
Roberto Mancini

E poi dicono che l'allenatore non conta. O che conta poco, il «20%» secondo la percentuale stabilita da don Fabio Capello che pure ha una buona considerazione del proprio talento, in polemico contrasto con le idee di Arrigo Sacchi. Prendiamo il derby di Milano che spunta dietro la Nazionale. Sembrava scritto e già in tasca al Milan con Mazzarri sull'altra panchina ed ecco invece il ribaltone. Allora conta l'allenatore ed è questo il convincimento che sta alla base dell'inevitabile esonero di WM e dell'avvento di Roberto Mancini ispirato da Moratti. A temere il contraccolpo non c'è soltanto uno dei suoi rivali storici, Adriano Galliani. «Con Mancini cambia tutto» la sua chiosa sinceramente preoccupata di lunedì mattina. Lo sostiene anche Marco Tronchetti Provera che ai margini della canonica presentazione del calendario Pirelli 2015, non fa sconti al Mazzarri allontanato e tesse le lodi del Mancini ritrovato. «Da interisti siamo tutti speranzosi e desiderosi di vedere un domani di recupero» è la sua frase simbolo che coincide col sentimento dell'interista medio, tornato a sperare e a frequentare San Siro, convinto di rovesciare tutto, pronostico e classifica domenica notte. «Penso che ci siano giocatori di qualità che, se espressa al meglio, possono dare soddisfazione, i giocatori vanno rimotivati» l'espressione affilata come un'accetta per separare il passato negativo dal futuro positivo. Messo al riparo, naturalmente anche l'amico Moratti: «Normale che facesse un passo indietro dopo la fase iniziale» . Lasciato a Thohir tutto il tempo necessario per capire e decifrare il calcio italiano. «Deve entrare in un mondo nuovo, con i suoi pregi e i suoi difetti» la didascalia di Tronchetti Provera che sembra condividere quasi tutto degli ultimi eventi di casa Inter, l'addio di Massimo, l'esonero di WM, l'avvento di Mancini sulla panchina .

Ed è proprio questo cambio, inatteso e sorprendente, che invece produce nuove fibrillazioni dalle parti di Milanello. Adriano Galliani ha abbandonato il suo ufficio di via Aldo Rossi per andare a controllare di persona l'allenamento, ammirando il Montolivo che sta risalendo la china (pronto per la panchina) e informandosi presso lo staff medico sullo stato di salute di De Jong, sarebbe un rischio eccessivo la probabile ricaduta. Mentre Alex e Muntari sono già in gruppo da lunedì e perciò candidati a tornare assicurando il tasso indispensabile di esperienza e forza di cui il Milan ha un bisogno disperato. «Inzaghi ci sta col fiato sul collo» ha fatto sapere sempre Muntari, poco abituato alle pressioni quotidiane, piuttosto ai sorrisi e alle pacche sulla spalla. É derby anche questo clima carico di tensioni. Di fatto tutto il piano preparato da Pippo per una settimana è finito in un cestino. Affilato il tridente offensivo contro la difesa a 3 di WM? Tutto da rifare: il Mancio sta riportando il più moderno e meno difensivista modello dei 4 difensori in linea. Prevista la massima attenzione alla gabbia per richiudere dentro Kovacic? Tutto da rifare per capire bene l'allestimento del centrocampo e studiare contromisure all'eventuale inserimento di Guarin, abituato ai blitz e a rovesciare la squadra da una metà campo all'altra con le sue galoppate palla al piede. «Di solito il cambio dell'allenatore, per le prime partite, provoca entusiasmo ed energie» è sempre l'idea fissa di Galliani. Ma forse dietro l'allarme c'è anche l'altro dato.

Mancini è una vecchia volpe del derby, Pippo un debuttante assoluto in una sera in cui più che agitarsi conta la forza dei nervi distesi. Specie nello sciogliere il solito nodo che rischia di strangolare il Milan: Menez (ieri a riposo perchè gli è nato il secondo figlio) o Torres?

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