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La testa dell'ItalMancio pensa in brasiliano e non sta mai zitta

Jorginho, l'oriundo che ha scelto l'azzurro e i Blues: "Parlo tanto e così dirigo tutti"

La testa dell'ItalMancio pensa in brasiliano e non sta mai zitta

Play discreto fuori dal campo, un leader che parla invece molto durante la partita. E non solo con i piedi, dote tipica dei brasiliani come lui. Jorge Luiz Fregio Filho, conosciuto come Jorginho, nove anni fa dopo aver ricevuto la cittadinanza italiana - la famiglia paterna era originaria della provincia di Vicenza -, rispose alla chiamata dell'Under 21 azzurra snobbando il fascino della Seleçao.

Eppure al momento di spiccare il salto tra i più grandi sia Conte che Ventura non credono in lui: il primo lo testa in due amichevoli verso l'Europeo francese ma poi lo lascia a casa, il secondo lo ignora fino alla notte maledetta di San Siro con la Svezia. Entra così stabilmente nel gruppo dal 2018 con Roberto Mancini. Risultando, dopo Bonucci, il più schierato: 24 gare su 33 e più di 2000 minuti segnando anche 5 reti, tutte su rigore. «Il parlare tanto in campo è una cosa che mi viene naturale, credo che la comunicazione sia fondamentale per uno che a centrocampo riesce a vedere delle cose da dietro e cerco di dare delle informazioni per aiutare tutti a disporsi meglio sul terreno di gioco. Finisco la partita senza voce...», ha sottolineato con il sorriso Jorginho.

Centrocampista centrale tecnicamente dotato, efficace nel palleggio rapido e insistito che «rompe» le altre squadre, bravo in fase di non possesso e nei passaggi lunghi. Insomma il prototipo ideale per il gioco del Mancio. Che gli ha consegnato la sua Nazionale e attorno a lui sono cresciuti Barella e Locatelli, titolari con la Turchia, e ha preso quota Verratti, che spera di recuperare già per la Svizzera e che con Jorginho forma quel doppio play, marchio di fabbrica del ct. «Il merito della mia crescita è di tutti i tecnici e compagni che ho avuto in carriera. Troppo entusiasmo dopo la vittoria con la Turchia? Credo sia bello vincere ed è giusto gioire, sapendo che arriverà subito una partita più difficile, rimarremo sempre con i piedi per terra».

Da buon brasiliano, quando era bambino, i suoi modelli erano Kakà, Ronaldo e Ronaldinho, grandi attaccanti della Seleçao arrivati anche in Italia. «Poi a 13 anni ho incontrato un allenatore che mi ha messo più dietro, davanti alla difesa, dicendo che quello sarebbe stato il mio futuro. Così ho iniziato a studiare Pirlo e Xavi. Veri campioni. Sono loro i miei modelli». Ecco come è nato il centrocampista cresciuto a Verona, maturato a Napoli con Benitez e poi con Sarri che lo ha portato con sè al Chelsea facendogli vincere l'Europa League, ma due anni dopo ha fatto il bis in Champions anche senza il tecnico toscano. Fra 27 giorni, vorrebbe chiudere il cerchio con la vittoria dell'Europeo. «Il gruppo dell'Italia è molto simile a quello dei Blues: ha voglia di dimostrare, gli esperti come i giovani, e tutti vogliamo raggiungere qualcosa di importante. Siamo tutti leader, non conta chi va in campo perché tutti hanno le caratteristiche per giocare in questa filosofia di calcio».

I complimenti gli arrivano anche dal ritiro della Francia, dove i compagni di squadra Zouma e Kantè parlano della nostalgia dei «tocchi alla Jorginho».

Quelli che ora vuole regalare all'Italia di Mancini.

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