Gunnar Nordahl arrivò in Italia grazie a Gianni Agnelli. La Juventus aveva strappato al Milan il danese Plöger. Il segretario rossonero Giannotti spedito a Copenaghen aveva firmato il precontratto con il calciatore del Frem e a fine dicembre Plöger si mise in treno per l'Italia. A Domodossola incontrò John Hansen, suo compagno di squadra nella nazionale che aveva eliminato l'Italia agli ottavi di finale nei Giochi di Londra vinti dalla Svezia sulla Jugoslavia, con i danesi medaglia di bronzo. Hansen era già della Juventus e suggerì al collega di dimenticare il contratto con il Milan e di seguirlo a Torino dove avrebbe preso più soldi. Alla stazione di Milano Plöger trovò ad attenderlo due dirigenti, il milanista Busini e lo juventino Giordanetti. Il Milan offrì 25 milioni, la Juventus 30, Plöger scelse lo stipendio migliore ma il Milan scatenò la sua giusta protesta, considerandosi raggirato e tradito. Gianni Agnelli telefonò al responsabile Fiat di Stoccolma incaricandolo di risolvere la questione trovando sul mercato scandinavo l'uomo giusto da offrire al Milan e impegnandosi ad anticipare la cifra in corone.
Gunnar Nordahl era l'uomo, giocava con i dilettanti del Degerfors e segnava mille gol a partita, quelli del Norrkoeping lo convinsero a cambiare maglia offrendogli un lavoro fisso come vigile del fuoco. E il pompiere diventò la leggenda del calcio svedese e scandinavo. Gunnar Nordahl non conosceva una sola parola della nostra lingua, arrivò a Milano il 14 di gennaio del Quarantonve e si affidò totalmente al console svedese al punto che una mattina, desiderando ordinare la colazione nell'albergo dove alloggiava, telefonò al consolato per chiedere aiuto: desiderava una tazza di caffelatte. Nordahl imparò l'italiano e non dimenticò mai la lingua del gol. Era un gigante, un bisonte. Si portava appresso oltre novanta chilogrammi per i suoi 180 centimetri, quando prendeva velocità era appunto un bisonte, come venne soprannominato. Portava i capelli con la scriminatura al centro, così molti ragazzi tifosi del Milan seguirono la moda, come ha ricordato Fausto Bertinotti, ex segretario di Rifondazione comunista e grandissimo tifoso rossonero. Il Milan non vinceva uno scudetto da oltre 40 anni, ci pensò il pompiere bisonte che in 15 partite realizzò 16 gol, per presentarsi al popolo italiano e all'avvocato Agnelli.
L'anno successivo arrivò il titolo. In Italia segnò 225 gol in 291 partite, il suo totale di carriera è fenomenale, 442 reti, con i quattro club, due svedesi e due italiani, in 504 partite. Chiuse la carriera nella Roma e segnò il suo 225° gol con la stessa maglia di Totti (il numero 10, stranamente per lui che giocava sempre col 9, ma che in quella partita lasciò a Lojodice) e contro lo stesso avversario, il Genoa. Il resto è storia grandiosa e pure amara, scelse di tornare nel suo paese natale, conservando la nostalgia per l'Italia, il Milan e la Sardegna dove amava trascorrere le vacanze estive.
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