Totti, in 40 anni da capotribù a mito senza mai tradire il talento

L'omaggio dei tifosi del Toro è il trionfo di un campione che non è solo della Roma, ma di chiunque ami il calcio

Totti, in 40 anni da capotribù a mito senza mai tradire il talento

Se c'è un tributo che il popolo del pallone può riservare a un calciatore avversario di valore, che non siano i fischi di minaccioso timore, questo è l'applauso in terra ostile. Quando temi un fuoriclasse e lo vedi entrare sul manto erboso del tuo stadio speri di intimidirlo col dileggio. In quel momento lo stai omaggiando, mettendo però inevitabilmente da parte il rispetto. Ma se quando scende in campo ti alzi in piedi, sulle tribune, e lo applaudi vuol dire che la tua faziosità ha fatto il giro e si è trasformata in ammirazione incondizionata. Significa che lo stai prendendo per mano e conducendo sull'Olimpo, tra gli dei del pallone, sapendo che di lì non lo toglierà più nessuno. E a quel punto non conta più la casacca che indossa. Può essere quella giallorossa, quella rossonera o quella blucerchiata. Diventa un dettaglio marginale. Il quarantenne Francesco Totti si ritrova tra i miti e a collocarlo lì sono state le tribù avversarie, gli spalti dei campi avversi, le curve degli irriducibili.

Credo che i tifosi granata si siano sentiti lusingati che Totti abbia segnato proprio nel loro stadio il suo duecentocinquantesimo gol in serie A con la Roma, perché in fondo la storia di Totti non è fatta solo di reti realizzate o record stracciati. Non di allori né di mondiali giocati. Forse è stata la sua capacità di trasformare l'uomo delle barzellette in una bandiera come non ne esistono più. Ha saputo incarnare concetti come fedeltà ai colori sociali; capacità di vivere anche in silenzio le varie stagioni professionali; essersi trasformato in un emblema che restava mentre a Roma passavano allenatori, compagni di gioco, dirigenti e presidenze.

Quando vedo un calciatore che segna una rete e bacia la maglia salvo poi accettare un ingaggio più remunerativo altrove, penso che il gesto di afferrare un pezzo di stoffa e portarla alle labbra non conti niente. Totti quando sigla un gol si porta il pollice in bocca perché nel momento più esaltante della vita di un calciatore il suo pensiero va ai figli, un gesto di familiare normalità, quasi banale, potremmo dire. Ma in realtà anche quel gesto ha il valore dell'appartenenza. Il legame a una casacca non ha bisogno di essere teatralizzato e il capitano della Roma ha sempre mostrato la calma assoluta di chi conosce il proprio dna e crede nella predestinazione.

Quando nel marzo del '93 esordisce in prima squadra a sedici anni, a Brescia, sta firmando un patto d'onore con se stesso prima che con la Roma Calcio. Arriveranno, arriveranno sì le sirene incantatrici: Juventus, Milan, Real Madrid, club inglesi, team tedeschi, Cina, Stati Uniti arriveranno la fama, la gloria, le belle donne, una splendida starlette che prenderà in sposa, arriveranno le pubblicità dove pur non trovandosi a suo agio sfodererà quel senso dell'ironia che lo rende uno di noi, arriveranno scudetto, coppe, campionato del mondo, eppure

Eppure quando vediamo Totti relegato in panchina che burla i compagni sedutigli stancamente accanto ci viene da pensare a una magia. Quest'uomo ce l'ha fatta, è riuscito a discendere il fiume insidioso del successo senza tradire se stesso. Ha accettato di scendere in campo, ma non secondo le regole mortifere del carrozzone dello show business. Se ne è create delle proprie e ha navigato a vista forte del talento a cui dovrà rendere grazie per il resto dei suoi giorni. Questa non è solo l'umiltà dei grandi, questa è consapevolezza. Però consapevolezza e professionalità non hanno mai offuscato il piacere di Totti nel giocare a calcio. Quando lo vedi in campo capisci che quell'uomo si diverte. E la sua capacità di riportare questo mondo che si prende troppo sul serio nella dimensione del divertimento la si può misurare prendendo come esemplificazione la vicenda dello scavetto realizzato ai danni di Van Der Sar nella semifinale europea tra l'Italia di Dino Zoff e l'Olanda di Frank Rijkaard.

Vedere i volti di Paolo Maldini e di Gigi Di Biagio contorti in una smorfia di sconcerto mentre il ragazzo di Porta Metronia va a calciare il rigore come farebbe un discolo di Testaccio, dopo avergli confidato quello che intende fare, è la riconciliazione tra lo sport più bello del mondo e un ambiente che non sa più ridere di se stesso. Buon compleanno, Francesco!

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