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Tre generazioni azzurre per riscattare i maschi

Razzoli, già olimpionico nel 2010, Vinatzer genio e sregolatezza e "baby" Sala

Tre generazioni azzurre per riscattare i maschi

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Al netto di una notte libera che si spera tutta in discesa per le azzurre, lo sci alpino italiano sta per ritrovare i tre moschettieri a cui si affida per continuare il sogno olimpico. Lo slalom è la lotteria più bella, ma anche più crudele della neve: quest'anno la Coppa ha avuto sei slalom con sei vincitori differenti, nessun dominatore e uscite tanto spettacolari quanto dolorose, fino alle ultime porte. Perché fra i pali, si sa, non è mai finita finché non è finita.

Così a salvare il bilancio di uno sci alpino maschile non brillante ecco tre generazioni a confronto. Sono quelle del campione olimpico Giuliano Razzoli, classe 1984, che quest'anno vanta tre top 10, un podio e due uscite. Poi ci sono il genio e sregolatezza dei 23 anni di Alex Vinatzer (un quarto, un quinto, un settimo posto, due uscite e una top 20) e Tommaso Sala, classe 1995, convocato meritatamente in extremis, grazie al suo sesto posto di Kitz e al settimo di Schladming. Una chiamata che tanto è pesata sugli equilibri in campo - e le polemiche fuori - degli uomini jet. Ma tant'è: Sala è al debutto olimpico, «preoccupato solo dei segni sul manto che, rispetto alle nevi europee, sono più birichini». Alex Vinatzer, che ha già saggiato il sapore amaro di un quarto posto ai grandi eventi come a Cortina 2021, vorrebbe finalmente raccogliere quanto ha seminato: «So che sarà una battaglia».

Ultimo viene il nostro Razzo nazionale, un monumento alla regolarità, al talento cristallino e alle seconde manche, quelle che nella vita ti costruisci da solo. Forgiato dalla neve imprevedibile degli Appennini, andò a prendersi il suo posto fra i grandi di sempre il 27 febbraio del 2010, nella sera e nelle brume umide di Vancouver 2010. Dal nuovo mondo alle nevi della Tigre Asiatica, in questi anni ha affrontato di tutto, oltre a collezionare 2 vittorie e 9 podi, l'ultimo poche settimane fa a Wengen. Downgrading di squadra, infortuni che avrebbero piegato chiunque, ma mai piegato un vero emiliano che «va a letto presto e coltiva sogni». Nella valigia di atleta e di alpino ha ripiegato con cura la bandiera che Reggio Emilia, la città del Tricolore, gli ha affidato. Portabandiera di una sciata precisa che si è aggiornata col tempo e di una tempra antica che, invece, si vede sempre più di rado nel terzo millennio del tutto e subito. «Come mi sento? Lo dirà la classifica». Poche parole molti pali.

Ale, azzurri.

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