Valdano non risparmia nessuno: «Capello? Avvelenerebbe anche i serpenti...»

Li ha “pittati”: una pennellata e via. In qualche caso ha usato veleno puro al posto della vernice per regolare qualche conto aperto ma il risultato è stato strabiliante. Perchè dalla penna di Jorge Valdano, un tempo scorta calcistica di Maradona nell'Argentina campione del mondo in Messico, poi assistente di Florentino Perez al Real Madrid, sono usciti dei ritratti godibilissimi dei personaggi più in voga del calcio contemporaneo. Il titolo del libro è impegnativo («Le undici virtù del leader», edizioni Isbn) ed il suo messaggio è concentrato nella definizione che sta in cima alla galleria: «il leader è colui che rende migliori gli altri». Giusto. Specie poi se i capostipite di questa generazione sono Alex Ferguson o Cesar Luis Menotti, o Alfredo Di Stefano. Inevitabile perciò che uno come Valdano risulti rapito e ispirato da Pep Guardiola, definito lo «Steve Jobs del calcio» capace di liberare il calcio dall'ossessione tattica con il contributo dei suoi “piccoletti geniali” e allestisca invece una brace a cielo aperto per Josè Mourinho, «un personaggio fatto su misura per questi tempi rumorosi e vuoti», epici i loro scontri al Real Madrid. «Se Guardiola è Mozart, Mou è Salieri, sarebbe un grande musicista se non esistesse Mozart» il graffio sul viso del portoghese cui riconosce «un grande fascino mediatico» con l'avvertenza che quando «vince lo trasforma in eroe e quando perde in caricatura». Ma forse la stoccata più sanguinosa è riferita al loro sodalizio presso la casa blanca: «Mai sentito dire da lui una frase calcistica degna di essere ricordata».

Jorge Valdano, per amore del suo calcio («adoro l'inganno, la pausa, la finta, la precisione, considero un disastro l'intensità»), non fa sconti a nessuno. Figurarsi a Fabio Capello esponente di spicco della schiatta degli allenatori capaci di sopravvivere a qualsiasi latitudine, a Londra come a Mosca. Qui Valdano si è superato. Sentite cosa ha scritto di don Fabio: «Se lo abbandonassimo per un anno in una caverna piena di serpenti, al ritorno lo troveremmo sano e salvo». Stecchiti, rimarrebbero i serpenti! Non viene risparmiato nemmeno il Cholo Simeone, «il suo gioco è poco attraente e si ispira al Mou»), tanto meno Balotelli visto e studiato in tv, e perciò collocato «a metà tra un bambino capriccioso e un attore scadente». Una sola carezza riservata a Carlo Ancelotti, lo storico vincitore della decima coppa dei Campioni a Madrid: «Un grande allenatore che ha deciso di non darsi troppa importanza». Autentica l'attrazione provata per il lavoro fatto da Antonio Conte, nella Juve, «si tratta dell'allenatore più interessante di questa generazione», con una immancabile puntura di spillo («in Europa ha mostrato un volto più insicuro e speculativo»).

Quasi una devozione quella provata per il talento calcistico di Andrea Pirlo condensata in questo giudizio finale: «Ho un'ammirazione tale nei suoi confronti che la sola presenza di Pirlo è un motivo sufficiente per guardare una partita». Vale quasi una laurea honoris causa.

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