Il "vero" miracolo di Sofia e le "colpe" di una mamma

Mi scuso di dar fastidio ma dopo 48 anni nello sci rivendico il diritto di raccontare le cose come stanno

Il "vero" miracolo di Sofia e le "colpe" di una mamma

Per la seconda volta nella mia lunga carriera da giornalista dello sci (scrissi il primo pezzo per questo Giornale nel novembre 1986 dalle nevi del Sestriere) ho insinuato che un infortunio di Sofia Goggia non fosse proprio così grave, se dopo 40 giorni (lo scorso anno) e 23 stavolta, lei fosse pronta ad affrontare una gara di discesa libera (dopo tre giorni di prove, va da sé) con salti e curve a 130 all'ora.

Mi cospargo il capo di cenere. Chiedo umilmente scusa. Il problema è che fino a ieri l'avevo sempre considerata una sciatrice come le altre, con doti uniche e rare, certo, ma tutto sommato umana. Mi sbagliavo. Forse però è il senso della parola grave che mi è sfuggito e a questo punto dovremo trovare un nuovo aggettivo per definire gli infortuni di atlete e atleti (la lista sarebbe lunghissima purtroppo, ve la evito ma include anche Sofia per infortuni del passato) che in seguito a una brutta caduta tornano dopo sei mesi se va bene, più spesso dopo un anno, e quando tornano fanno una fatica d'inferno non dico a vincere le gare o le medaglie, ma più semplicemente a sciare come prima, fidandosi al 100%. Per non dire di quelli che proprio non tornano. Ribadisco le mie scuse e penso che il vero miracolo Sofia lo abbia fatto riuscendo a rialzarsi subito dopo la terrificante caduta di Cortina, con la diagnosi che tutti ormai conosciamo.

Dove sta il problema allora? Sta nel fatto che le mie terribili colpe, la mia diffidenza venga presentata come l'esternazione o peggio lo sfogo della «mamma della Brignone». Questo no, non l'accetto e mi girano anche un po' le scatole. Cosa c'entra? Come ho scritto sopra, faccio questo mestiere e mi sono iper specializzata sullo sci alpino e gli sport invernali dal 1986, anno in cui mi sono ritirata dall'agonismo dopo 12 stagioni in nazionale e nove di coppa del mondo, a buon livello direi, ma questo è ininfluente. 1974-2022: vivo di sci e mastico sci da 48 anni dunque, volete concedermi un po' di competenza ed esperienza nel settore? Io me le concedo e vi dico anche che nel 1986 quando iniziai a scrivere (all'alba dell'era Tomba, che anni!) Federica non solo non era ancora nata, ma non era nemmeno nei miei pensieri. Più tardi, quando è nata e ha cominciato a sciare, non era nei miei pensieri e nemmeno nei suoi che diventasse una campionessa, che arrivasse in Coppa del mondo e si ritrovasse davanti una giornalista «diversa», sua madre. Un disastro. Per lei, per me, ve lo assicuro. Ma cosa dovevo fare, inventarmi un nuovo lavoro? Col senno di poi sì, avrei dovuto. Altro grave errore di cui pentirsi.

Bene, il lunghissimo preambolo per dire che credo di potermi permettere un parere sull'assurda situazione vissuta ieri dopo la doppia medaglia italiana nella discesa olimpica: argento Goggia e bronzo Nadia Delago (bisogna specificare il nome, perché le Delago sono due, non dimentichiamocelo). E il mio parere è che si è esagerato, prima, durante e soprattutto dopo nel far passare Sofia Goggia come l'eroina dei due mondi (siamo in Cina, no?), offuscando in modo vergognoso e ingiusto non solo l'impresa della sua compagna di podio Nadia, ma anche di tutti gli altri atleti che avevano gareggiato a Pechino e magari vinto medaglie. Ho anche osato dire che la Goggia è egocentrica. Sì, lo ribadisco e sfido chiunque a dimostrarmi il contrario, pronta a fornire diversi esempi per avvalorare la mia tesi. Vi do solo l'ultimo in ordine temporale: non vi sembra egocentrica una persona che molte ore dopo la gara telefona a casa non per condividere la sua gioia e il suo orgoglio ma per sapere quali sono state in Italia le reazioni alla sua medaglia? Ribadisco le mie scuse se ho offeso qualcuno, ma confermo anche tutto quello che ho detto (a Radio Capital), purtroppo ripreso, enfatizzato e commentato, spesso in modo offensivo, come ormai è lecito fare soprattutto sui social, senza doverci nemmeno mettere la faccia.

Sono pronta ad affrontare le «gravi» (queste sì, lo saranno) conseguenze di non essermi mai prostrata ai piedi di Sofia Goggia. Spero solo che a pagarne le conseguenze non sia anche mia figlia: sarebbe davvero ingiusto.

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