La prima volta di Houston, era già tutto scritto

Il successo degli Astros programmato scientificamente: «Sports Illustrated» l'aveva previsto 3 anni fa

La prima volta di Houston, era già tutto scritto

Uno di meno, uno di più. Un club di Major League in meno nella classifica di quelli che non hanno mai vinto un titolo nel baseball americano, uno in più nella colonna dei vincenti. Houston Astros campioni 2017, dopo la vittoria in gara 7 al Dodger Stadium, in una partita strana come tutte le altre della serie: meno fuoricampo o punteggi alti (domenica gara 5 era finita 13-12) ma lanciatori partenti, e prestigiosi, che non sono riusciti ad arrivare alla fine del 3° inning, per avere concesso troppi punti o avere colpito troppi battitori. Tutto pieno a Los Angeles, in uno degli scenari più suggestivi del baseball, e tutto pieno anche a Houston, al Minute Maid Park, lo stadio di casa, per vedere la partita sullo schermo gigante. Con il successo degli Astros restano solo in sette a non aver vinto una World Series, e due (Seattle e Washington, ex Montréal), a non averla mai nemmeno giocata, e si tratta dunque dell'ennesimo trionfo del sistema sportivo professionistico americano, che basa la sua forza sulla possibilità concreta per ogni squadra di vincere il campionato, se gestita bene.

Negli ultimi cinque anni almeno una squadra per ciascuna delle quattro grandi leghe è arrivata al titolo per la prima volta: i Los Angeles Kings nell'hockey, i Seattle Seahawks nel football, i Cleveland Cavs nel basket e ora gli Astros. La differenza spaventosa con sistemi sportivi come quelli europei è palese e rivela ancora una volta l'ipocrisia di chi gestisce questi ultimi: nel triennio 2011-13 Houston ha perso in media 108 partite a stagione (su 162) e sembrava aver toccato il fondo (con il soprannome ironico di Last-ros, da last che vuole dire ultimi), ma la nuova dirigenza ha avviato un programma così gravido di buon senso e programmazione da ribaltare tutto nell'arco di sei anni. Quello che nel calcio europeo (o in Formula Uno, dove i big resistono al tentativo di creare maggiore uguaglianza competitiva come vorrebbero i nuovi padroni americani) non è permesso alle piccole, perennemente soffocate da chi dice di ispirarsi a principi americani sapendo benissimo che la loro applicazione porterebbe in realtà alla perdita dei privilegi e a campionati vinti - con le dovute proporzioni - dalle Real Sociedad, dai Werder Brema e simili, lasciando perdere l'esempio Leicester che è appunto irripetibile.

E il tutto lo ha ottenuto, Houston, in una lega come la Mlb che non ha il salary cap: i Los Angeles Dodgers, sconfitti nella World Series, hanno pagato quest'anno 144 milioni di dollari di stipendi contro i 98 dei loro rivali ma questo non è bastato. A capire prima di tutti che gli Astros lavoravano sul serio è stato Ben Reiter, giornalista del settimanale Sports Illustrated, che nel giugno del 2014 ha pubblicato un lungo e dettagliato articolo nel quale spiegava come Houston avrebbe vinto il titolo Mlb del 2017 e come l'esterno George Springer, all'epoca 24enne, sarebbe stato premiato come miglior giocatore. Tutto azzeccato e quasi spaventoso, perché anche i migliori lavori di ricostruzione sui giovani possono trovare ostacoli naturali, per non parlare di altro: da circa un anno, e fino al 2020, è in carcere per spionaggio Chris Correa, dirigente dei St.

Louis Cardinals, condannato per essersi intrufolato nel sistema informatico degli Astros grazie a una password rubata a Jeff Luhnow, suo ex collega passato a Houston, e avere sottratto informazioni dettagliate su alcuni giocatori. Correa aveva capito tutto: solo violando la legge si poteva fermare l'ascesa di questi Astros.

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